Treviso e la Marca sono come Roma: dispersa metà portata degli acquedotti

TREVISO. È solo questione di fortuna, di conformazione del territorio. Altrimenti anche a Treviso l’acqua sarebbe razionata, come sta per accadere a Roma. L’acquedotto a Treviso perde il 41 per cento dei metri cubi di acqua che vi scorrono, e in zona Pedemontana va pure peggio: a Valdobbiadene Ats sostiene che le perdite arrivino quasi al 70 per cento, e molti comuni vicini non si discostano dal 60 per cento. A Roma, dove un milione e mezzo di persone per otto ore al giorno rischia di non avere più l’acqua che sgorga dal rubinetto, dove sono state interrotte le captazioni dal lago di Bracciano, le perdite ammontano al 44,1 per cento. Ma il nostro “lago di Bracciano” sono i 140 pozzi e le 65 sorgenti che assicurano a quasi tutti i residenti della provincia di aprire il rubinetto e farsi la doccia a qualsiasi ora; Ats assicura che «non ci sono rischi che si debba razionare», ma il presidente Raffaele Baratto conferma il fattore “fortuna”: «Siamo in una zona con molta acqua».
Vediamo dunque da dove arriva l’acqua che esce dai rubinetti trevigiani.

Le sorgenti naturali. Delle 25 sorgenti – ovvero i punti in cui l’acqua sgorga naturalmente in superficie grazie alla natura carsica, ed è già potabile (viene solo fatto un trattamento di disinfezione) – le fonti principali sono tre: la Tegorzo a Quero, con un prelievo medio di 250 litri al secondo, la Fium a Vas da 340 litri al secondo – entrambe prelevano acqua da affluenti del Piave – e la sorgente Muson da 40 litri al secondo.
I pozzi. Oltre alle sorgenti ci sono 140 pozzi sparsi per i 54 comuni della provincia serviti da Ats che risucchiano l’acqua dalla falde. Di questi i maggiori sono il campo pozzi Fener ad Alano di Piave, il Settolo a Valdobbiadene, il Sant’Anna a Cornuda, quello di Moriago, il Campagnole a Nervesa, che garantiscono da soli il 20 per cento del fabbisogno annuo, che ammonta a 74 milioni di metri cubi.
Le dispersioni. Ma di tutta quest’acqua circa la metà (37 milioni di metri cubi) viene dispersa nel tragitto dalle fonti alle abitazioni, a causa di tubature infiltrate e rotte. Le responsabilità di Ats sono relative, riguardano gli ultimi dieci anni per i primi comuni che sono diventati soci dell’allora neonata Alto Trevigiano Servizi, e gli ultimi quattro per gli altri; ma è necessario andare molto indietro nel tempo per individuare responsabilità e negligenza, visto che ci sono condotte che non sono mai state cambiate negli ultimi 80 anni. Una rete colabrodo lunga 4.790 chilometri che è ben più pericolosa, e costosa, della siccità. La vera sfida della società nei prossimi anni sarà quella di ridurre al minimo le perdite occulte, ma è molto costoso anche solo individuarle.
Caccia alle falle. Alcune società in Italia stanno utilizzando una tecnologia satellitare. Ats, oltre a questo sistema, ipotizza di organizzare la rete in distretti che, insieme a un sistema di chiusura della tubature, possa rendere più semplice e precisa l’individuazione dei buchi neri dell’acquedotto. Poi, comunque, serviranno i soldi per andare a sostituire le tubature. Di certo l’efficienza, la riduzione degli sprechi e i contenimenti dei costi non possono che passare da qui.
L’agricoltura. Per la campagna il compito sembra un po’ più semplice. L’acqua che il Consorzio Piave distribuisce agli agricoltori di quasi tutta la provincia arriva sostanzialmente da tre laghi: Santa Croce, Mis, e Centro Cadore, che insieme hanno una portata di 130 milioni di metri cubi; sui 150 gestiti dal consorzio. In questo caso si tratta di giocare con il bilancino, con l’Enel, la Regione e gli agricoltori. Oltre ai turisti, perché tutti e tre i laghi d’estate sono un’attrazione e una fonte di reddito per i bellunesi; abbassare troppo il loro livello non è possibile. I prelievi dai tre laghi in questi ultimi anni di siccità più che mettere in crisi gli agricoltori hanno messo in crisi il Piave, sempre più secco e sofferente. La diffusione del sistema d’irrigazione a piogga ha ridotto gli sprechi rispetto alle vecchie canalette, per due ragioni principali: utilizzando meno acqua garantisce il fabbisogno necessario a un’area più grande, e consente di chiudere qualche canaletta troppo vecchia, che lasciava fuoriuscire litri e litri di acqua ogni anno. La corsa all’efficienza è un obbligo, perché sulla fortuna non si può contare sempre.
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