Treviso, bimba mai nata, sentenza 18 anni dopo: «Il medico deve risarcire 450 mila euro»

La Corte d’Appello di Venezia ha accolto il ricorso presentato dai genitori: «Condotta professionale imprudente»
PESCI AG.FOTOFILM TREVISO OSPEDALE CA' FONCELLO
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TREVISO. Diciotto anni dopo la morte della piccola Francesca nel reparto di Ostetricia del Ca’ Foncello, la Corte d’Appello di Venezia riconosce che quella tragedia poteva essere evitata. I giudici hanno condannato per «responsabilità professionale» il dottor Vincenzo Cancemi (per anni in servizio all’ospedale trevigiano e successivamente primario al San Camillo) a pagare 450.000 euro ai genitori della bimba. Per loro, rappresentati dall’avvocato Sergio Calvetti, si tratta di una vittoria dopo quasi due decenni di amarezze prima sul fronte penale e poi civile.

Il parto

La bimba nacque già morta il 12 settembre 2000 al Ca’ Foncello. Successivamente la l’autopsia disposta dalla Procura di Treviso, che aveva messo sotto indagine sei persone oltre al dottor Cancemi, accertò che la piccola era morta cinque giorni prima del parto. Il caso fece scalpore anche perché il cadaverino rimase venti giorni in obitorio, in attesa dell’esame necroscopico che doveva stabilire se la piccola era nata viva o meno. Per quel decesso finì sotto inchiesta il ginecologo Vincenzo Cancemi, sospettato di essere stato negligente nel seguire la gravidanza. La donna, infatti, soffriva di ipertensione.

L’archiviazione

Le indagini si chiusero con l’archiviazione perché il nesso di causalità tra la presunta condotta omissiva da parte del medico e l’evento lesivo non risultava provato al 100%, come la Corte di Cassazione richiede, ma «solo» al 90%. La condotta omissiva, scrisse all’epoca il gip Michele Vitale chiudendo la vicenda, «ove posta in essere» non appariva sufficiente per causare il decesso del feto. I genitori della piccola, residenti a Treviso, non si arresero a questa sentenza. Convinti che la morte di Francesca poteva essere evitata decisero con il loro legale, l’avvocato Calvetti, di agire sul piano civile, chiedendo al ginecologo Cancemi e al Ca’ Foncello il risarcimento dei danni morali e biologici per quel decesso. Anche in questo caso però le cose non andarono bene perché il tribunale respinse la loro richiesta.

L’appello

La svolta arriva in Corte d’Appello quando i giudici ordinano una nuova perizia per ricostruire cosa può essere accaduto in quei mesi d’estate del 2000. E le conclusioni del collegio peritale (il professor Nicola Rizzo di Bologna e la dottoressa Silvia Tambuscio di Padova) questa volta danno ragione ai genitori della piccola. «Obiettivamente esiste una fase piuttosto prolungata di colpevole “buio” assistenziale che si è articolata nei mesi di luglio ed agosto 2000, dopo che la signora era stata dimessa dall’ospedale», scrivono i periti, «sino a quando vi rientrava per partorire un feto morto. Tale omissione è riconducibile all’esclusiva condotta professionale del dottor Cancemi. Nessuna critica è invece prospettabile in capo ai medici dell’ospedale. La morte del feto è da attribuirsi senza dubbio ad una condizione d’asfissia cronica per insufficienza uteroplacentare da patologia ipertensiva materna, complicata dall’evento terminale di trombosi della vena ombelicale. Il decesso del feto si è determinato circa una settimana dopo l’ultimo controllo effettuato dal dottor Cancemi, controllo dopo il quale la bambina avrebbe dovuto venir estratta senza ulteriore ritardo (non oltre il giorno 1. 9. 2000). Se la condotta professionale fosse stata prudente diligente e perita, la figlia della donna sarebbe stata estratta ancor prima di tale data, con sicura sopravvivenza, venendo dimessa in buone condizioni di salute e con normale spettanza di vita». Per questo quindi la Corte d’Appello di Venezia ha condannato il medico a pagare 450.000 ai familiari della piccola.

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