Tragedia di Castello di Godego, il percorso clinico di Massimiliano: quattro visite e poi la diagnosi
Mamma e papà si erano rivolti sia all’Ulss che a un privato. L’équipe: «Con i genitori cerchiamo di usare le parole giuste»

CASTELLO DI GODEGO. A mamma e papà faceva i sorrisoni e le smorfie. Li guardava con gli occhi sgranati quando giocava assieme a loro, con gli altri bimbi si divertiva. Massimiliano, però, non parlava. A due anni nemmeno lallazioni o balbettii, e allora mamma Adriana e papà Egidio avevano deciso di portarlo dal pediatra per capire se ci fosse qualche problema. È iniziato così, a settembre del 2020, il calvario del piccolo Massimiliano Battaglia, ucciso dal papà cinque mesi dopo quella prima visita che si era conclusa con una segnalazione all’Ulss 2. La famiglia non si è affidata solo al servizio pubblico: a gennaio aveva consultato anche un professionista privato.

Le prime avvisaglie
L’azienda sanitaria ha ripercorso le tappe che hanno portato il piccolo alla diagnosi non di autismo, ma di una più generale «sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico». Un modo per spiegare come la famiglia fosse stata seguita fin dall’inizio, e per dimostrare che nessuno, in questi casi, viene lasciato solo: esiste un protocollo di cure ed esami tale da seguire passo dopo passo i bambini che presentano problemi simili, aiutandoli a condurre una vita il meno complicata possibile. Settembre 2020, quindi, è il mese in cui il pediatra, insospettito per i ritardi nel linguaggio, suggerisce una visita neuropsichiatrica all’Ulss. La visita viene fissata - ed effettuata - lo stesso mese di settembre all’ospedale di Castelfranco. Nel referto dell’azienda sanitaria si evidenziano «segnali di rischio nella comunicazione sociale». Non è una diagnosi di autismo, ma apre le porte a ulteriori scenari che, inevitabilmente, angosciano mamma e papà. A quel punto il piccolo Massimiliano viene affidato a un’équipe multidisciplinare, di fatto un laboratorio specializzato nel trattare le difficoltà di questo tipo. «Siamo ancora a settembre 2020, si tratta di una sorta di day-hospital per approfondimenti legati al disturbo dello spettro autistico» spiega il dottor Pasquale Borsellino, direttore dell’unità operativa dedicata a infanzia, famiglia, adolescenza e consultori del distretto di Asolo, specialista in psicologia dell’emergenza. Passa Natale, arriva l’anno nuovo, la situazione del piccolo non migliora. Il 5 gennaio 2021, a Castelfranco, Massimiliano viene preso in carico dall’azienda sanitaria con sedute settimanali di logopedia e psicomotricità. Ad alcune di queste partecipano anche i genitori.

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Gli ultimi mesi
Un altro referto viene consegnato ai genitori a metà gennaio 2021: è quello in cui si cita la «sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico», con particolare compromissione della comunicazione e rischio di disturbo dello spettro autistico. Il percorso con il bambino e con i genitori va avanti. Pur lasciando aperti diversi scenari, è una diagnosi “pesante”, papà e mamma restano attoniti. «La comunicazione della diagnosi è un aspetto che curiamo molto» sottolinea il dottor Borsellino, «sappiamo che è un iter psicoterapico, usiamo le parole giuste, ci siamo concentrati anche sui miglioramenti che il piccolo avrebbe potuto avere». Come la prendono, mamma e papà? «L’impressione è che la mamma fosse attiva e propositiva, il papà è sembrato prenderla meno bene. Ma non ci meravigliamo di questo».
Il nuovo consulto
Ai genitori di Massimiliano l’Ulss fissa una consulenza psicologica per il 18 gennaio, dando indicazioni sul trattamento psicoeducativo. Il piccolo avrebbe avuto un’altra visita il 10 marzo, nel frattempo i genitori consultano anche un altro professionista (privato), che però conferma quanto detto dall’azienda sanitaria pubblica. Al 10 marzo, purtroppo, Massimiliano non arriverà mai, ucciso dal papà travolto dal dolore e dall’incubo di una vita di sofferenza. —
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