Svuota-carceri, da S. Bona di Treviso escono in 15

Sconteranno il residuo di pena ai domiciliari. E grazie al calo dei reati le presenze in istituto sono passate da 220 a 185
Casa circondariale di Treviso
Casa circondariale di Treviso

TREVISO. Il provvedimento svuota-carceri, inserito nel decreto Curaitalia, non ha avuto l’effetto desiderato negli istituti di pena del Paese. E anche a Santa Bona, la detenzione alternativa al carcere prevista dalla legge 123 del 2020, ha avuto un impatto lieve: soltanto per una manciata di detenuti, infatti, si sono aperte le porte del carcere di Treviso per andare a scontare il residuo di pena ai domiciliari. Ma, grazie ad una serie di altri fattori, come la vecchia legge 199 del 2010 e il drastico calo dei reati dovuto alle restrizioni dei movimenti causa coronavirus, negli ultimi due mesi il penitenziario di Santa Bona ha visto allargarsi gli spazi all’interno delle celle.

Lo dicono i numeri: se prima dell’emergenza da coronavirus, la popolazione all’interno delle mura del carcere di Treviso oscillava tra i 215 e i 220 detenuti, ora i detenuti complessivamente sono 185. Quasi quaranta in meno, vicini a quota 180 che per il carcere di Santa Bona rappresenta la soglia di tolleranza, anche se ancora lontani da quota 137 che è, invece, il numero “magico” quello che rappresenta la capienza regolamentare e che nessun carcere italiano rispetta. Il sovraffollamento carcerario è una piaga che da anni affligge il nostro Paese per una serie di motivi tra loro legati: l’assenza di investimenti nell’edilizia penitenziaria, il mancato aumento delle misure alternative alla detenzione, la cronica carenza del personale della polizia penitenziaria e la mancata approvazione di una riforma dell’ordinamento carcerario.

Prima dell’inizio dell’emergenza del Covid-19 i carcerati reclusi nella casa circondariale di Santa Bona si attestavano, in media, su una cifra che oscillava tra i 215 e i 220 detenuti. Un numero piuttosto alto, ma, comunque, inferiore rispetto alla densità media di altri istituti di pena italiani, costata caro all’Italia in termini di condanne di risarcimento stabilite dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. La pandemia del coronavirus aveva riportato a galla vecchi temi come l’indulto e l’amnistia ma poi lo scoppio di alcune rivolte carcerarie aveva fatto propendere verso scelte più ponderate. Il decreto legge del 17 marzo scorso prevede la detenzione domiciliare solo nell’ipotesi di una pena detentiva non superiore a 18 mesi e il braccialetto elettronico per coloro che hanno una pena da scontare inferiore ai 18 mesi ma superiore ai 6 mesi. Su 54 istanze presentate a Santa Bona per avere accesso alla nuova legge (e anche alla vecchia 199 del 2010) meno di una quindicina sono i detenuti che hanno potuto uscire dal carcere. Un’altra manciata, che si conta sulle dita di una mano, sono usciti per motivi di salute. Ma una grossa mano l’ha data il drastico calo di reati e, di conseguenza, di nuovi ingressi in carcere a causa della pandemia. Le limitazioni dei movimenti ed il conseguente rafforzamento dei controlli da parte delle forze dell’ordine in tutto il territorio della Marca, hanno permesso di fare scendere il numero di detenuti di 35-40 unità, vicino alla soglia di tolleranza di 180 detenuti. Chiaramente, non sarà il coronavirus a risolvere il problema degli spazi angusti nelle carceri. Anzi, l’allentamento delle restrizioni, potrebbe far salire reati e di conseguenza arresti. Il dibattito rimane aperto. —

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