Stefanel, Basso, Biasuzzi: un affare trevigiano
Gli imprenditori di Marca sono fra gli azionisti di maggioranza
TREVISO.
Anche se crescerà a Dolo e ha sede a Padova, Veneto City è un affare in buona parte trevigiano. A volere la costruzione della «nuova porta del Veneto» sono imprenditori di casa nostra. Primo per quote azionarie è Giuseppe Stefanel, che controlla il 22,68% tramite Finpiave di Veneto City spa che gli vale la maggioranza relativa. Dopo la veneziana Impresa di costruzioni Mantovani, seconda azionista con il 22,22%, si piazza la Lefim srl riconducibile al gruppo di Mario Basso, nome tra i più rinomati di casa nostra, che vantava un patrimonio immobiliare di primo piano - oltre 600 milioni di euro a fine 2009 - costruttore di opere come il Bhr Hotel di Quinto e l'Outlet di Roncade, quest'ultimo progetto bloccato da una sentenza avversa. Dalla fine del 2009 il Gruppo Basso è alle prese con un possente piano di ristrutturazione del debito - 250 milioni era infatti l'esposizione a quella data - che prevedeva diverse dismissioni. Veneto City è rimasto in portafoglio e a fine 2010 il gruppo trevigiano dichiarava di possedere ancora 250 mila metri quadrati sui 500 mila totali acquistati nella campagna di Dolo. «Si tratta del progetto più ambizioso attivo in Veneto e che trasformerà l'area che unisce Venezia, Padova e Treviso nella protagonista del rilancio economico, scientifico, logistico e amministrativo della regione - è stata l'ultima dichiarazione raccolta da Mario Dal Sie del Gruppo Basso -. In quest'area potrebbero confluire gli interessi delle istituzioni pubbliche, fondazioni bancarie, università e di lungimiranti aziende private». Tutti obiettivi rimasti per ora sulla carta, come sa bene Fabio Biasuzzi, principe delle cave che con la sua Bf srl detiene il 7,07% di Veneto City. Oltre a risolvere il capitolo contestazioni, sono ancora necessarie infatti diverse autorizzazioni. Passaggio non facile, visto che da marzo 2010 il governo locale è cambiato (comune di Dolo, Provincia di Venezia e Regione). Per ora restano i conti. A fine 2010 i debiti erano di 12 milioni, 11,8 quelli dovuti alle banche, mentre le spese sono state di 1,1 milioni: 787 mila € per consulenze mentre 274 mila € sono andati agli amministratori sotto forma di compensi, ridotti questi ultimi rispetto ai 605 mila euro dell'anno precedente. (e.l.t.)
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