La minaccia dal carcere dell’ex stalker: «Quando esco ti vengo a cercare»
Dopo due anni di carcere per violenza e stalking, un uomo rumeno torna libero. La sua ex compagna a Treviso racconta le minacce ricevute e le difficoltà affrontate per ricostruire la sua vita

«Se sono in carcere è per colpa tua. Appena esco ti vengo a cercare e me la pagherai». Chissà se è convinto di riuscire davvero a dare un seguito alle parole pronunciate via telefono alla sua ex, ora che la pena di due anni di un carcere per violenza e stalking è giunta agli sgoccioli.
Sono infatti passati un paio d’anni da quando l’uomo, di origine rumena, è stato braccato in un locale dell’hinterland trevigiano e catturato dalle forze dell’ordine dopo che, in ordine, aveva puntato un coltello, minacciato di morte, danneggiato gli spazi condominiali e dato fuoco ad un’auto contro quella che era stata per un periodo la sua compagna. Dopo l’arresto l’uomo è stato processato nel tribunale di Treviso e il giudice gli aveva inflitto la pena di due anni per atti persecutori, danneggiamento e incendio doloso.
Lo stalker non avendo né residenza né domicilio a Treviso è stato estradato in Romania, dove pendevano sul suo capo anche i reati di reati di estorsione, furto aggravato, sequestro di persona, istigazione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Reati per cui è prevista una pena molto più pesante rispetto ai due anni imposti dal giudice italiano. Fatto sta che ora i termini detentivi sono scaduti e nella testa della vittima e dei suoi congiunti comincia a maturare il timore che, proprio adesso che sono tornati a vivere, quelle parole possano trasformarsi in fatti.
La vita va avanti
«Non voglio più parlare di questa persona, sono andata avanti con la mia vita con tanta fatica e non voglio più dare spazio nemmeno al ricordo di quell’uomo».
È nei giorni come questi in cui l’attenzione nei confronti delle vittime di violenza di genere e domestica è altissima che proprio chi ha subìto vorrebbe sparire, diventare trasparente, passare inosservato per scongiurare che l’incubo vissuto si riproponga nei ricordi, nelle parole di compassione dei conoscenti, nelle panchine rosse e nelle decine di appuntamenti cittadini per sensibilizzare su un tema e un fenomeno che non riesce ad involvere e diminuire. I casi di violenza di genere, dati alla mano continuano infatti a crescere, soprattutto quelli meno clamorosi, che ma che trasversalmente toccano diverse tipologie di donne.
Il codice rosso
Il codice rosso, cioè il provvedimento per la protezione delle vittime di violenza domestica e di genere, scatta immediatamente dopo la denuncia di maltrattamenti, stalking, violenza sessuale e revenge porn. La legge prevede procedure accelerate per l’adozione di misure urgenti per proteggerle. Anche nel caso dello stalker era scattata la misura. Ma dopo il suo arresto, la vittima si è trovata da sola.
«Dopo che è stato arrestato ho dovuto rialzarmi da sola. Ho dovuto comprarmi una macchina nuova, pagare i danni di tasca mia, pagare le spese legali. Non ho avuto nessun aiuto se non dalla mia famiglia. Fortunatamente ho sempre continuato a lavorare, altrimenti mi sarei trovata senza niente, avrei perso la casa e forse anche la custodia dei miei figli, perché non avrei avuto i soldi per mantenerli. Ma come è possibile che una donna vittima di violenza venga lasciata da sola, senza sostegni economici. Come può riprendere a vivere come se niente fosse da sola con le sue forze?». La donna racconta di aver dovuto far fronte a tutte le spese per tornare alla normalità. Cosa che ha conquistato con grande fatica. E poi entra nel merito della pena: «Due anni sono troppo pochi per quello che ha fatto».
La minaccia dal carcere
«Pochi mesi dopo essere stato arrestato mi ha chiamato, ha detto che era colpa mia se era stato preso e rimandato nel suo Paese. Mi ha detto che non appena sarebbe uscito me l’avrebbe fatta pagare. Poi non l’ho più sentito». E poi l’affondo: «Non ho paura, non ho più paura, sono andata avanti con la mia vita e non ho voglia di rivivere quello che ho vissuto anni fa. Non voglio più pensarci perché devo tutelare i miei figli e la mia famiglia. Il male che ci ha fatto non deve continuare a durare». Da qualche mese sono passati i due anni inflittagli dal giudice trevigiano e il timore che possa tornare si è manifestato. Il suo avvocato dice di non averlo sentito e che difficilmente potrà tornare in Italia, considerando la sfilza di reati per cui deve pagare nel suo Paese natale. Ma il timore che possa uscire presto, magari anche solo per un permesso, continua a tormentare la vittima.
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