Sile malato, stop alla centrale elettrica

Dossier del Genio civile: «Fondale oltre i limiti, aprire subito le chiuse». Entro 60 giorni un piano per salvare le sponde

Non sono avvenuti per caso gli allagamenti che hanno invaso le banchine, gli attracchi, le discese in acqua di case e impianti sportivi che affacciano lungo l’asta del Sile, da Ponte dea Goba a Silea. Sono stati un’avvisaglia, un segnale, il primo campanello di un allarme che più passerà il tempo più rischia di diventare emergenza. Il Sile, oggi, scivola su un letto che non è più quello di una volta. Si è gonfiato di detriti, fanghi, depositi vari e senza un intervento di pulizia rischia di divorare le sponde ormai diventate troppo strette.

A dirlo, chiaramente, sono le analisi topografiche fatte dal Genio Civile dieci giorni fa per rispondere alle proteste di quanti si erano visti allagare terreni e campi. Il responso è tutto condensato nella lettera che l’ente ha inviato alcuni giorni fa alla Sied, la società piemontese che gestisce le chiuse di Silea dai primi anni del 2000, e che da alcuni giorni è stata costretta ad aprire la diga facendo defluire più acqua.

Stop alla centrale. Il Genio ha imposto di abbassare la soglia di produttività dell’impianto idroelettrica di venti centimetri. Un provvedimento di minima, utile a rimettere a segno i livelli del Sile fino all’aumentare delle precipitazioni, ma non certo a risolvere il problema alla base di tutto. Alla richiesta ne è seguita un’altra, altrettanto perentoria: «definire entro sessanta giorni un piano di intervento per la pulizia del fondo». All’impresa (subentrata alla Elettroburgo) oltre ad un drastico ed inevitabile calo di produttività dell’impianto che d’ora in avanti dovrà sottostare alle direttive del Genio, si profila un intervento onerosissimo in termini di costi.

Pulizie? Ferme al 1990. Il disciplinare che regola lo sfruttamento dell’energia del Sile risale al 1950 e stabilisce, oltre ai livelli del corso d’acqua, anche l’obbligo di «periodiche operazioni di espurgo». Già allora infatti si immaginava che il posizionamento delle dighe di Ponte San Martino, di Ponte dea Goba e di Silea avrebbero inevitabilmente creato dei «ristagni» deleteri per l'equilibrio del Sile, e delle rive. Da allora ad oggi le pulizie sono state eseguite mediamente ogni 15 anni: 1958, 1974, 1990. Poi? Più nulla. A mettere i bastoni tra le ruote dell'«ordinaria manutenzione» i costi dell'opera, ma soprattutto quelli di smaltimento dei fanghi che via via avevano fatto registrare crescenti livelli di inquinanti. Oggi, constatata la quota del letto del fiume, a detta del Genio l'intervento di pulizia è «ineludibile e non rinviabile».

Sile seccato e intasato. In cinquant'anni, il fiume citato perfino da Dante è passato dall'avere una portata di 44-50 metri cubi d'acqua al secondo a una che oscilla tra 30 e 35 metri cubi. Un crollo dovuto all'intensa attività di sfruttamento delle falde, che ha inevitabilmente diminuito la spinta delle sorgenti e depauperato il Sile. Se a questo si aggiunge il fatto che le aziende private che hanno gestito fino ad oggi le dighe hanno rispettato i limiti di quota imposti dai disciplinari sul livello dell'acqua, si arriva alla stessa conclusione cui hanno portato i rilievi topografici: il fondale si è alzato.

L'incubo fanghi. Per risolvere l’emergenza la Regione (138-2006) offre due strade: la rimozione e lo smaltimento dei fanghi, o la loro «fluitazione» (che equivale al sollevamento, alla dispersione nell’acqua dello stesso Sile e nello scarico a valle). Entrambe dipendono dalla presenza – o meno – di inquinanti. Nel caso sia forte, e pericolosa, lo smaltimento «controllato» in siti deputati (costosissimo) è inevitabile. Ma sui chi ricadrà la spesa? Difficile se ne accolli la responsabilità solo la Sied, visto che nel Sile, come testimoniato da polemiche e carteggi, ricadono scarichi di almeno due comuni. Ma vanno interpellati anche la Difesa del Suolo, Autorità di Bacino, Provincia, Arpav e ovviamente Genio Civile. Uno sbarramento burocratico che rischia di rendere l’opera ancor più difficoltosa.

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