Sile, il fiume malato «Non si draga dal 1974»

A Treviso l’acqua lambisce la sponda di riviera Garibaldi: cose mai viste. Acque impetuose a ponte San Martino, in pieno centro, e passanti che si fermano lungo le riviere: foto, incredulità, ansia. Acque limacciose, sporchissime nel fossato attorno alla mura e nel tratto cittadino.
No, non è il Sile di una volta. Da qualche anno ha livelli più alti che in passato, anche in città. E adesso, ogni volta che questo nuovo clima «tropicalizzato» porta acqua a catinelle, invade banchine a valle di Treviso, allaga case e semina paura. Negli ultimi anni, la banchina della «Nea» a Silea, è stata ricoperta dall’acqua, e per una manciata di centimetri non è stata invasa pure la trattoria: 15 un anno fa, 5 stavolta. Un pelo.
Quello che era il fiume più tranquillo e silente (omen nomen, se è vera la teoria che vuole il nome derivato dal latino “silet”), il più lungo fiume di risorgiva, il prodotto naturale di quel fenomeno che sono i fontanassi, adesso fa paura.
Ma cos’è successo? «Non viene più dragato», spiega schietto e semplice, Adriano Caldato. «Bisogna dragarlo, il fondo si è alzato. Il tratto dal ponte dea Goba alla centrale di Silea non viene dragato dal 1974, in città non credo si sia mai fatto, almeno dagli anni ’50». Decenni e decenni di depositi.
C’è de credergli. Il Sile lo conosce bene, Adriano. Non solo perché è nato sulle sue sponde 72 anni fa, («son del Porto», con orgogliosa fierezza: solo quelli di Fiera hanno questo senso identitario che non li fa cittadini del capoluogo). Per 40 anni l’ha visto giorno e notte, anno dopo anno, sulle passerelle che hanno scandito il suo lavoro di operaio prima, e responsabile poi, delle centrali del ponte dea Goba e di Silea.
«E pensare che la portata, dal 1954 è diminuita, quasi dimezzata», spiega, «anche se poi c’è una parte di acqua del Piave che arriva sul Sile, deviata in città tramite Piavesella e Brentella. Il problema è che ora, fra i due salti a valle, la Gobba e la centrale di Silea l’innalzamento del fondo ha fatto sì che il fiume sia una enorme vasca di decantazione. Tutto bene d’estate, ma d’inverno, con piogge forti, le turbine girano al massimo, tutto si scarica sulla paratoie autolivellanti, può succedere che la griglie si intasino, e non si riesca a tenere il livello di concessione. In passato riuscivamo ad abbassare di 20 centimetri il livello di concessione, per contenere le piene. Aprendo la paratie a monte, un tempo presidiate: oggi a San Martino l’addetto arriva da Alano, tutto è automatico». La sua memoria torna al dopoguerra: «Il taglio del Sile fu deciso per dare lavoro ai giovani, c’era paura di sommosse, Nel ’50 cominciarono i lavori della centrale di Silea, avviata nel 1954.Al ponte dea Goba la centrale aprì prima, nel ’51. Progettateentrambe dall’ingegner Facchinello».
Adriano è...un fiume. Dal 1954 a oggi, dice di non temere sfide e sfidanti. Una Bibbia: cita livelli e metri cubi, dati tecnici e percorsi idrici da Casacorba sino al faro di Jesolo («C’è un altro grande tappo dopo Portegrandi, in passato provammo ad aprire le paratie del Silone e il fiume si abbassava anche a Treviso»). Ha un dossier con foto, relazioni, rapporti. E spiega, anche al neofita, come il fiume non possa abbassarsi di 1 metro fra le due centrali, lungo la Restera, e poi di 2 nei successivi 40 chilometri da Silea al mare.
E torna al fiume da dragare. «Quando ci furono i lavori successivi all’apertura delle centrali, negli anni ’70, i fanghi tirati su dal fiume vennero scaricati a Casier, sull’ansa», ricorda. Terra da riporto, dunque. E adesso? «Oggi non è più così, perché è cambiata la legge: il materiale fangoso in fondo il fiume, che se sta lì, almeno per la legge, non crea problemi, diventa inerte se tirato fuori, da smaltire solo ed esclusivamente nelle discariche 2/B. Eppure a Quarto d’Altino ci sono idrovore che tiran su l’acqua per Mestre, come la mettiamo?».
Un altro capitolo è la scomparsa dei barconi e burci, oggi solo nei musei o semiaffondati sotto la passerella di Casier: «Quelli tenevano pulito, ricordo che passava il “Paolo”, in ferro: 6mila quintali di granaglie, era lungo 50 metri, largo 8, e “pescava” 2. La navigazione è un altro fattore di manutenzione che oggi manca». Oddio, non sarà che progresso e volontà di controllare il fiume abbiano finito per complicare le cose? E viene in mente Gentilini, che voleva eliminare almeno uno dei due salti cittadini...
Camillo Pavan, altro uomo di fiume, storico, autore di tanti libri sull’amatissimo Sile, ricorda che nel 1850, là dove oggi c’è il Dopolavoro Ferroviario, una gigantesca alluvione fece insorgere i cavallanti, che se la prendevano con i mulini. Niente di nuovo sotto il sole? Oggi si contestano le centrali, ieri i mulini? «Alluvioni ce ne sono state, non solo nel 1966», rileva, «e non vanno dimenticati gli affluenti, creano problemi anche quelli. E’ vero, la navigazione contribuiva a una manutenzione naturale del corso del fiume».
Il Sile sta tornando nell’alveo, a valle di Treviso, dopo essersi preso per giorni sponde e porticcioli, scantinati e abitazioni, rampe e cortili. Non sarà malato, forse. Ma l’impressione è che ci sia bisogno di un grande check-up. Chi sarà il medico? La Regione? Il Genio Civile? L’autorità delle acque?
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