Si rompe la protesi: causa da 130 mila €

L’impianto all’anca cede mentre sta camminando: la perizia riscontra il difetto all’arto artificiale, la ditta non vuole pagare
Di Renza Zanin

CONEGLIANO. Gli impiantano una protesi all’anca che si rompe due anni e mezzo dopo l’operazione: paziente cita in giudizio l’azienda costruttrice, la Adler Ortho Srl, chiedendo oltre 130 mila euro di danni. B.A., difeso dall’avvocato Stefano Arrigo, si era sottoposto a due interventi di artoprotesi presso la divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Faenza, il primo alla gamba sinistra nel 2007, il secondo a destra un anno dopo. Nel 2010, però qualcosa va storto: mentre sta camminando l’uomo avverte un cedimento alla gamba sinistra, cade a terra e sbatte la spalla sinistra. L’uomo si reca al pronto soccorso dell’ospedale di Vittorio dove l’Unità operativa di radiologia dello stesso ospedale constatata la rottura della protesi sinistra. Per sostituirla l’uomo si reca presso il presidio ospedaliero di Faenza dove la diagnosi di accettazione parla di rottura del collo protesico dell’anca sinistra. Nella caduta, però, l’uomo ha riportato una serie di conseguenze anche alla spalla, tanto da essere costretto a sottoporsi anche ad un intervento in artroscopia con sezione del capo lungo del bicipite, reinserzione del sottoscapolare e del sovraspinoso con ancora. Nella relazione medica effettuata da un perito, la rottura del collo e della testina protesica viene ricondotta ad un difetto di lavorazione della protesi mentre vengono esclusi errori nella tecnica operativa utilizzata per il suo impianto. Nella stessa relazione viene anche accertata l’esistenza di un quadro menomativo e disfunzionale dell’anca sinistra, sottoposta ad un ulteriore intervento chirurgico e pregiudicata nelle potenzialità di recupero ottimale della funzionalità, con insorgenza di rischi di possibili complicanze anche a distanza e minore potenziale durata della protesi. Il paziente decide così di chiedere un risarcimento danni alla ditta produttrice. L’accordo però non viene raggiunto, tanto che l’uomo, attraverso il suo legale, decide di richiedere un accertamento tecnico preventivo per verificare l’esistenza di un nesso di causa tra un difetto della protesi, la sua rottura e la caduta dell’uomo, con le conseguenti lesioni. Secondo il parere del ctu la rottura del colletto protesico non sarebbe imputabile ad errori di tecnica chirurgica bensì a un difetto di costruzione e di usura del materiale utilizzato. A fronte di questo B.A. ha deciso di citare in giudizio l’azienda per ottenere il risarcimento.

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso