Sbaglia un modulo, niente assegno: condannato l’Inps

TREVISO. Lasciandosi andare a un afflato poetico, questa potrebbe essere la rinnovata storia di Davide contro Golia. Lei, operaia agricola di 50 anni, che trascina in tribunale il colosso Inps. E vince. Anzi, stravince: l'istituto di previdenza non solo ha perso la causa, ma è stato pure condannato al pagamento delle spese legali. Cornice di questa storia, in cui hanno giocato un ruolo fondamentale la Cgil di Treviso e l'avvocato che ha patrocinato la causa, Carlo Galeotafiore, un pasticcio di ordinaria burocrazia.
La donna, residente a Treviso, aveva lavorato come operaia agricola dall'1 marzo al 31 ottobre 2012. A contratto chiuso però si è accorta di non aver ricevuto dalla ditta per cui aveva prestato servizio l'assegno di nucleo familiare. Nessun problema, ha pensato: la donna ha bussato direttamente alla porta dell'Inps. Risposta? Nessuna. Lei non si è rassegnata al silenzio e così ha presentato ricorso contro il cosiddetto silenzio-rifiuto (con la burocrazia il vecchio silenzio-assenso, in taluni casi, rasenta la fantascienza). Idem come sopra: nessuna risposta.
L'operaia agricola, temendo di essere nel torto, ha verificato insieme all'ufficio vertenze della Cgil che tutto fosse in regola: il reddito del nucleo familiare della ricorrente rientrava (per l'anno in esame, il 2012) negli scaglioni previsti dalla legge e l'Inps aveva pure riconosciuto come rientranti nel nucleo familiare i familiari indicati dalla ricorrente. Con la ragione dalla sua parte, con il patrocinio dell'avvocato Carlo Galeotafiore, del foro di Treviso, si è rivolta al giudice del Lavoro per ottenere al condanna dell'Inps al pagamento di quanto le spettava: 1.100 euro (più spese legali), mica cifre da capogiro.
È alla risposta dell'istituto di previdenza che tutto è divenuto maledettamente chiaro: l'Inps ha affermato che la donna «in quanto lavoratore agricolo a tempo determinato, avrebbe dovuto presentare la domanda attraverso il modello Prest.Agr.21TP». La ricorrente invece «aveva presentato la domanda a mezzo del modulo che riguarda i lavoratori agricoltori a tempo indeterminato». Sciagurata. È dovuto intervenire il giudice del Lavoro, Roberta Poiré, per riportare la faccenda sui binari della realtà. Il magistrato scrive: «L'Inps non contesta che la ricorrente sia in possesso dei requisiti reddituali e familiari per il percepimento degli assegni familiari e non contesta neanche la quantificazione degli stessi». L’Inps stesso non ha dato spiegazione giuridica del suo «no», «limitandosi ad affermare che la domanda amministrativa è stata sì avanzata, ma con l’utilizzo del modulo scorretto». Il giudice aggiunge (dopo aver sottolineato che l’ente né ha negato di aver ricevuto la domanda né che fosse priva di presupposti) che «la censura relativa alla scelta del supporto cartaceo, o informatico, a mezzo del quale era stata proposta la domanda, risulta meramente formalistica e priva di basi normative». In altre parole conta la sostanza, non la forma. Tutto era corretto, tranne il pezzo di carta su cui era stata presentata la richiesta. Il giudice ha accolto in pieno la tesi della ricorrente, sostenuta nella causa dall’avvocato Galeotafiore: «Noi abbiamo voluto andar contro l’atteggiamento dell’ente. La burocrazia non può essere così ottusa: abbiamo sostenuto che l’Inps sarebbe dovuto andare oltre un’interpretazione meramente formalistica della domanda presentata. Quella domanda era chiara». Non manca una riflessione amara: «Questa signora ha fatto causa con il mio patrocinio. Era sostenuta dall’ufficio vertenze della Cgil Treviso. Ma il cittadino che si pone da solo di fronte all’Inps che tutela ha?». A fronte di un minimo errore formale, per riuscire a convincere l’Inps ad allentare i cordoni della borsa è stato necessario l’intervento della Cgil, dell’avvocato Galeotafiore e di un giudice.
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