«Questa giustizia è una vergogna»

La famiglia di Annalaura: «Attesa inutile di 23 anni, siamo insoddisfatti»
La sorella, il padre e la madre di Annalaura Pedron
La sorella, il padre e la madre di Annalaura Pedron
 
ODERZO.
Giuseppe Pedron esce dall'aula e scuote la testa. «Sono giustamente insoddisfatto. E' una vergogna. E non voglio fare commenti». Il padre di Annalaura sbatte la porta. «Andiamo, andiamo a casa. Qui non c'è più niente da fare». Lame di sole tagliano il corridoio del tribunale dei minori di Trieste.
 Sono quasi le 18, la famiglia Pedron ha più di un motivo per non essere soddisfatta della giustizia. I giudici hanno appena stabilito la prescrizione per David Rosset, che la procura riteneva fosse l'assassino della loro figlia. Giustizia non è fatta, secondo loro, e l'ennesima lunga giornata nel palazzo di giustizia li ha delusi. Gli occhi grandi Paola Zamuner, la madre di Annalaura, guardano nel vuoto. Sembra non esserci più dolore, solo disperazione. E' abbandonata su una sedia, maglia e pantaloni sui toni del marrone. Parla a bassa voce, quasi sibila: «Non tollero, non tollero tutto questo. Quell'uomo non si è mai presentato, non è mai venuto qui a dire: "Sono innocente". Se non l'ha mai fatto, vuol dire che non ha potuto farlo... e quindi?». Non finisce la frase, una pausa: Poi riprende: «Ma io non posso, non posso andare avanti così». Accanto a lei Silvia, la figlia minore. I suoi occhi neri e grandi sembrano quelli di Annalaura. La sua è sofferenza muta.  Dopo la sentenza si spalanca su un altro, nuovo dolore. Escono i genitori di Annalaura, esce la sorella. Non esce l'imputato: ieri non era in aula, così come tutte le altre volte. Non ha mai preso la parte al processo. Ieri pomeriggio, mentre i giudici disponevano del suo destino, in molti giurano di averlo visto in un centro commerciale. Esce il pm, Chiara De Grassi: «L'appello? Tecnicamente è possibile. Vedremo...». Per ultime escono gli avvocati di David Rosset. Sono due donne piccole e battagliere: Esmeralda Di Risio e Filomena Acierno. Nel piazzale del Palazzo di giustizia cercano una sigaretta e parlano. Prima Esmeralda Di Risio: «Sia chiaro: la difesa non è soddisfatta. Dopo tante udienze ci aspettavamo un giudizio, come dire, più definitivo. Adesso abbiamo 90 giorni per pensare, leggeremo le motivazioni e su quella base faremo appello. Il processo è da rifare». Tocca Filomena Acierno: «Siamo scontenti tutti. E sapete perché David Rosset è stato iscritto nel registro degli indagati il 20 marzo del 2008. Ma il reato di cui è stato accusato era già prescritto un mese prima, nel febbraio. A vent'anni esatti dall'omicidio perché una pronuncia della Cassazione fissa in quel lasso di tempo la prescrizione per l'omicidio compiuto dal minorenne. Per indagarlo, gli hanno contestato le aggravanti che nel fascicolo originario, quello contro ignoti, non c'erano». E questo sembra un'altra, potente motivazione (in attesa di quelle che forniranno i giudici) che porta verso l'appello. E Rosset? E' rimasto lontano al Palazzo di giustizia, ancora una volta. Ma ora dovrà rimettersi in gioco. Sabato ha parlato con le sue legali, sembra che abbia accolto con sollievo la pronuncia dei giudici. Ma Di Risio e Acierno non lasciano trapelare nulla. «Dobbiamo ancora parlare con lui di tante cose. Dobbiamo spiegargli l'eventualità di un'altra prova giudiziaria, deve comprenderlo bene. Tra qualche giorno parlerà». Nell'attesa, è andato a fare la spesa con la moglie.

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