Quel busto in gesso spuntato da un garage

Quei tratti ossuti, quel disegno pieno di volumi, che pare tracciato senza staccare il carboncino dal foglio del progetto, si nascondevano in un garage del centro di Treviso.
«E non è difficile indovinare di quale famiglia si tratti - ammicca, soddisfatto per l’acquisto, il sindaco Manildo - nostop che di autonoleggi in centro città non ce n’erano molti».
E sono stati acquistati («per una cifra giusta, mentre per un’altra opera siamo in trattativa ma lontani nel quantum») dal Comune per rimpinguare la collezione delle sculture di Arturo Martini esposta al museo “Bailo”.
Lo hanno chiamato “Ritratto d’uomo” ma dovendo trovargli anche un nome - e non solo una storia - suggestivo dovremmo chiamarlo “L’uomo del garage”. Lo hanno reperito lì , infatti, e il critico Nico Stringa ne ha riconosciuto, sovrapponendoli, i tratti di un’opera molto nota e di proprietà civica, “L’ubriaco” . Proprio questa dicitura disdicevole ha impedito per anni - tra le ire dei parenti dell’interessato - di citare il personaggio identificato come soggetto che ispirò il ritratto in gesso. Tenendo conto della sua collocazione più recente, il povero Uomo del garage non è tanto ubriaco quanto, almeno, intossicato dai gas di scarico delle auto che venivano accese nella rimessa. Di certo c’è la datazione (esiste un contratto di committenza che lo testimonia) al 1910, e l’ispirazione stilistica, che gli esperti sottolineano essere debitrice all’Espressionismo. La somiglianza con L’Ubriaco, ovvero Memi Zanchetta è clamorosa e i due busti, collocati vicini elogisticamente opposti alla notissima Maternità che ritrae Maria che difende in un abbraccio il Cristo deposto dalla croce, suonano - scusate il pasticcio verbale - la stessa... musica stilistica.
Qualcuno – Stringa ma anche Manzato - ha ritrovato in quel progetto i tratti che in quel periodo contraddistinguevano l’evoluzione di Gino Rossi, l’amico di Martini (che era andato a vederla a Ca’ Pesaro) che aveva portato alla magia del “Muto” e della “Fanciulla del fiore”, capolavoro assoluto di Rossi mai arrivato alle sale del Bailo pur essendo di proprietà di un collezionista trevigiano. Le similituydini balzano anche agli occhi di un profano e non trae in ingannola faccia gonfia del “Muto”
in contrasto con il viso scavato e patibolare dell’ Uomo del garage. L’expertise è stato puntuale e documentato e sarà difficile - com’è costume in certi ambienti aspri come quello dell’arte, metterlo in dubbio.
Raccontata una favola, ne apriamo subito un’altra. In cosa consiste i9l secondo Martini spuntato in città e i cui proiprietari, resisi conto dell suo peso commerciale, hanno alzato le pretese economiche per la vendita al Comune? In fondo resterà a Treviso. (t.f.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso