Processo per mafia nigeriana, il pm chiede 10 anni: assolto dal tribunale di Treviso

TREVISO. Era accusato di essere il boss della mafia nigeriana nel nord Italia. Secondo gli inquirenti il trentaquattrenne Oseiwe Ewobe con una connazionale titolare del negozio etnico di via Ronchese, dalla sua abitazione di via Pisa gestiva il sodalizio mafioso EIYE (o Supreme Eiye Confraternity), ben radicato in Italia e in Europa e non solo.
Tanto che ieri il pm dell’Antimafia di Venezia ha chiesto per lui una condanna a dieci anni di reclusione. Ma per il tribunale Ewobe, difeso dall’avvocato Mauro Serpico, va assolto da tutte le accuse perché non è un boss ma, al massimo, un mediatore tra diverse etnie.
l’inchiesta
Tutto era partito dalla denuncia di una ragazza nigeriana che sosteneva di essere vittima di tratta e di sfruttamento della prostituzione. E così si era arrivati ad una maxi operazione della polizia partita da Palermo.
L’indagine “No Fly Zone” aveva quindi l’obiettivo di smantellare un pericolosissimo sodalizio criminale di stampo mafioso, chiamato “Eiye” , che era ramificato su tutto il territorio nazionale. Secondo gli investigatori si tratta di un’organizzazione criminale specializzata in furti e reati contro la persona, che si contrappone all’altro gruppo malavitoso nigeriano che è chiamato “Black Axe”.
manette nella marca
Oseiwe Ewobe, con precedenti per rissa e resistenza a pubblico ufficiale, era soprannominato “Hope” o “Hope in God” ; per gli investigatori si sarebbe trattato di un membro di rilievo dell’organizzazione nel Nord Italia, che partecipava alle riunioni organizzative ed esercitava un ruolo chiave nella gestione dei conflitti e negli equilibri interni. Aveva raggiunto, stando a quanto accertato dagli inquirenti, al ruolo di “Eagle” , ovvero “capo dei picchiatori” . Ma la sentenza del Tribunale di Treviso ieri ha di fatto smontato l’impianto accusatorio: non c’è nessuna affiliazione con il “nest” di Palermo e con quello di Treviso.
Confermando quanto Ewobe aveva detto al gip di Treviso Zulian durante l’interrogatorio di garanzia dell’aprile del 2019. «Io non sono un affiliato della “Supreme Eiye confraternity”» – disse, «le telefonate che il dottor Prince (un nigeriano di Quinto, finito in manette a dicembre di anno fa nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Torino) mi faceva erano solo richieste cortesi di riappacificare le varie anime della comunità nigeriana di Treviso quando erano ai ferri corti tra loro. Quei favori me li chiedeva non come affiliato, accusa che respingo con fermezza, ma come punto di riferimento per la comunità nigeriana a Treviso».
l’assoluzione
Il nigeriano era residente in città con la compagna, in via Pisa, e titolare di un negozio di prodotti etnici in via Ronchese. «Per questo – disse – sono molto conosciuto». Insomma, sarebbe stato un sorta di mediatore e non un boss. Il pubblico ministero Patrizia Ciccarese, della Dda di Venezia, aveva chiesto una condanna molto dura a 10 anni di carcere.
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