Piero, Delfina e Gabbana L’Oderzo di un tempo nei “quaderni” di un oste

Viene presentato oggi il libro postumo di Elio Squararotti, storico gestore del bar Al Bivio: per anni ha preso appunti sui clienti del locale 

come eravamo

Storie, scherzi, battute sagaci. Ma anche piccoli-grandi squarci sulla vita di tutti i giorni a Oderzo. Un’amarcord che emerge dagli appunti che Elio Squararotti – gestore storico del bar al Bivio scomparso nel 2015 in un incidente stradale – aveva raccolto in alcuni quaderni di cui nessuno conosceva l’esistenza. A riportare alla luce centinaia di piccole-grandi storie opitergine è stata la moglie, Vilma De Pasqual, che ha ritrovato i suoi appunti in una cassapanca e ha deciso di pubblicarli. Tutti insieme sono diventati il libro “Ma che film la mia vita”, edito da La Piave, che verrà presentato alle 20 di oggi nella sala polivalente del campo sportivo di Piavon.

Squararotti racconta le giornate passate al bar, ma anche le sue esperienze nel calcio e nel Pedale opitergino. Il libro inizia con il racconto dei primi tempi difficili dopo la decisione di gestire il bar, quando si era inventato oste dopo una vita da capocantiere. Subito descrive una Oderzo che non c’è più: «Di fronte a noi c’era il panificio Drigani», scrive Elio ricordando come si presentava via Garibaldi nel 1978, «all’angolo della via c’era un negozio di frutta e verdura gestito dal signor Plinio, a fianco il negozio di materiali elettrici e bombole di gas del signor Nino. Appena più in su c’era la “signorina massaggi” di nome Delfina. Dopo di lei c’era il negozio del calzolaio, signor De Zan».

Ma la vera forza del libro è la memoria di Squararotti, prodigiosa nel ricordare volti, nomi e situazioni. È grazie ad essa se nell’opera si possono leggere storie verissime che, ritrovate oggi, sembrano inventate: «Al Bivio, oltre i molti bravi clienti, c’erano anche quelli da tenere d’occhio. Il numero uno era sicuramente Piero, sempre irrequieto e spavaldo. Correva in moto in modo straordinario. Aveva anche una macchina, l’Alfetta, e un giorno arrivò dal centro e la parcheggiò davanti al bar, di traverso in mezzo alla strada, ed entrò. Dopo mezz’ora il vigile urbano chiese di chi fosse la macchina e disse di spostarla, altrimenti avrebbe messo la multa. Piero gli rispose: “Le chiavi sono sulla macchina, se vuoi la sposti tu”. Il vigile uscì, prese il suo motorino e se ne andò senza mettere alcuna multa». È anche per raccontare storie come questa che in queste memorie i personaggi sono citati solo col nome.

Elio racconta poi di “Gabbana”, che barattava quattro noci per un’ombra e, se queste risultavano marce, si discolpava con un pirotecnico: «Non è mica colpa mia, è l’albero che fa le noci». Squararotti aveva ben presente come quello che stava raccontando potesse sembrare strano, se non incredibile: «Se qualcuno mai leggerà questo scritto», confida al lettore, «magari penserà “Elio scrive di gente un po’ strana di Oderzo”. Mi piace scrivere di queste persone, che magari saranno dimenticate da molti». Eccolo, il perché della sua fatica. Richiamare alla memoria dei più anziani e insegnare ai più giovani com’era Oderzo quarant’anni fa. Un paese dove l’osteria (e soprattutto il Bivio) era un punto di riferimento, dove si incontravano tutti, ma dove a nessuno veniva rifiutata un’ombra. Nemmeno a chi, senza soldi, le barattava con noci marce. —

Niccolò Budoia

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