Pensionati d’oro, ma vogliono il "contributo di solidarietà"

Titolari di pensioni d’oro volevano farsi rimborsare il “contributo di solidarietà”, introdotto dal governo Letta, per aiutare gli esodati. Nel lungo elenco di persone che avevano presentato ricorso alla Corte dei Conti ci sono diversi ex primari del Ca’ Foncello e anche un ex prefetto, Aldo Adinolfi. Tutti sono titolari di pensioni superiori ai 90.000 euro (quattordici volte il trattamento minimo Inps) e, secondo quanto previsto dalla norma, hanno dovuto contribuire versando il sei per cento della parte eccedente i 90.000 euro. Con una sentenza depositata il 4 gennaio scorso la Corte dei Conti ha respinto il ricorso.
A presentarlo erano stati volti notissimi della sanità trevigiana: ex primari, l’ex direttore generale dell’azienda ospedaliera di Padova, Adriano Cestrone, e l’ex Prefetto Adinolfi, dal 2010 al 2013 rappresentate del governo in piazza dei Signori. Tra i medici si leggono i nomi di Silvana Agostini, numero uno di Pediatria e moglie dello storico direttore generale Domenico Stellini, Giuseppe Anselmo, già primario di Urologia a Castelfranco e Treviso, Piergiorgio Bardin, ex primario di Neurochirurgia ed ex consigliere della Benetton Basket. E poi Elbanio Bergellesi, ex primario dell’Unità operativa Medicina Fisica, Giancarlo Foscolo, già numero uno di Seconda Medicina al Ca’ Foncello, Francesco Mazzoleni, direttore della Clinica Chirurgia Plastica, Pier Antonio Pavan, ex direttore congiunto di Geriatria, Mario Sarpellon, ex primario di Prima Anestesia, e Pierluigi Zorat, già numero uno di Radioterapia oncologica.
Insieme a decine di altri professionisti veneti avevano presentato ricorso contro il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro imposto dal governo Letta. Chiedevano infatti di «sospendere le ritenute delle ritenute mensili effettuate, il riconoscimento del diritto a godere del trattamento di pensione nella sua interezza ed originaria consistenza, ossia senza le decurtazioni». La legge di stabilità 2014, infatti, aveva disposto un prelievo sugli assegni più corposi, quelli dai 91mila euro in su. Una sentenza della Corte Costituzionale, respingendo i ricorsi che contestavano la costituzionalità del provvedimento, aveva già scongiurato il rischio per il governo di dovere rimborsare circa 160 milioni di euro a chi aveva subito il prelievo.
La Corte ha motivato la decisione escludendo la natura tributaria del prelievo: i giudici hanno spiegato che si tratta di un contributo di solidarietà interno al circuito previdenziale, giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema. Il contributo di solidarietà, scaduto proprio alla fine del 2016 e non rinnovato dal governo, era infatti articolato per scaglioni: la penalizzazione colpiva, con un taglio del 6%, gli assegni previdenziali di importo annuo compreso tra 91.343,99 e 130.491,40 euro (fra 14 e 20 volte l’importo della pensione minima); il taglio sale al 12% per gli importi tra 130.491,41 e 195.737,1 euro; arriva al 18% per gli importi superiori.
I ricorrenti avevano invece fatto leva sul fatto che il prelievo riguardasse la sola categoria dei pensionati, una modalità che la Corte Costituzionale aveva censurato in una precedente sentenza. Ma la Corte dei Conti ha respinto il maxi ricorso.
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