Parkour a Montebelluna: voli e salti, la città è la loro palestra
I ragazzi del parkour: da hobby ad associazione sportiva. Si allenano al duomo, parco, in centro. «Senza romperci le ossa»

MONTEBELLUNA. La loro Montebelluna è sottosopra. Piena di spigoli, rampe, trampolini per volare. Quando voi vedete solo ringhiere e blocchi di cemento, loro invece stanno già pensando a dove possono arrivare. «E nessuno si è mai fatto male davvero, solo un braccio rotto». Sono i ragazzi del parkour, un gruppo («aperto a tutti») di una quindicina di adolescenti che ora, dopo cinque anni di attività, hanno deciso di creare una vera associazione sportiva dilettantistica: è nata la “Wallsurfers”, con tanto di statuto e presidente. Si chiama Jacopo de Stefani, ha vent’anni ed è uno dei “vecchi” del gruppo, per dire.

Parkour: «Disciplina metropolitana nata in Francia agli inizi degli anni ‘90. Consiste nell’eseguire un percorso, superando qualsiasi genere di ostacolo con la maggior efficienza di movimento possibile, adattando il proprio corpo all’ambiente circostante, naturale o urbano, attraverso corsa, volteggi, salti, equilibrio, scalate, arrampicate, eccetera». Definizione da Wikipedia, ma se avete visto in giro Jacopo e soci - in centro, al duomo, al parco, a Santa Maria in Colle, tutto è buono per loro - avete già un’idea di cosa stiamo parlando.
Jacopo, come nasce questa avventura?
«Eravamo in tre, cinque anni fa, con questa passione comune. Siamo cresciuti progressivamente come numero, ora siamo una quindicina. Ci sono anche un paio di ragazze. L’età media è attorno ai 17 anni, io ne ho 20, il più giovane 15. È un gruppo multietnico, ci sono un cinese e due marocchini, e anche due ragazze».

Dove praticate il parkour a Montebelluna?
«Non c’è un posto che abbia “tutto”. Andiamo dove troviamo muri, ostacoli, a volta basta una panchina. Al duomo, nel parchetto lì dietro, a Santa Maria in Colle, in centro. C’è anche una parte “verde”, un natural training sul Montello. Ora stiamo anche attrezzando uno spazio chiuso di cento metri quadrati a palestra per allenarci, sopra l’Agenzia delle entrate, in via Buzzati».

Che sport è il parkour?
«Spesso è visto come una cosa da pazzi, ma in realtà è tutto meno che saltare dai tetti per farsi male. Crediamo in valori dei quali non sempre si parla, e ora con l’associazione sportiva dilettantistica riconosciuta vogliamo portarli avanti. Il parkour è una questione fisica ma anche mentale di approccio agli ostacoli. È la testa che ci dice “non posso farcela”, il parkour ti fa bypassare il “nemico” che spesso sei tu stesso. Poi le tecniche sono varie, da un approccio quasi artistico, con movimenti fluidi e armonici, fino a quello più “mortale”».
C’è una formazione quasi filosofica?
«È presente un seme delle arti marziali orientali, la cura del proprio corpo, la crescita progressiva. Ho vent’anni, lavoro anche per avere un corpo che mi permetta di fare certe cose a 40 o 50. Non ha età, questo sport».
Come si inizia?
«Con l’approccio all’ostacolo. Movimenti semplici, per capire che non fa paura. Saltare un muretto, con la tecnica giusta, è facile. Si tratta di lavare via la paura del “non farlo perché ti fai male” che ti inculcano quando sei piccolo».
Ci sarà stato qualche osso rotto, in questi anni.
«Pochissimi: un braccio, a un mio amico, ma perché è inciampato. Vabbè, qualche botta e grattata si prende, ma niente di grave. Ecco, i ragazzini più giovani vanno un po’ frenati, all’inizio, perché lo spirito di emulazione rischia di fare brutti scherzi».
La gente come vi vede?
«All’inizio con diffidenza, a volte ci cacciavano pure. Ora ci conoscono, sanno che non rompiamo niente e non violiamo proprietà private».
Esiste un’estetica del parkour?
«Ci sono gruppi che hanno le loro identità marcate, anche nell’abbigliamento e nel linguaggio. Da noi c’è libertà. L’importante è avere scarpe e vestiti comodi».
C’è un maestro, nel vostro gruppo?
«No, ma noi tre che abbiamo iniziato per primi aiutiamo i nuovi arrivati a iniziare, diamo consigli, spieghiamo. A settembre però ci sarà un corso, riconosciuto dal Coni, per diventare maestri riconosciuti: lo faremo in due».
Sogni che il parkour possa diventare il tuo lavoro?
«Sì, mi piacerebbe molto».
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