Operaio morto, condannato Colomberotto

Dipendente dilaniato da un miscelatore, ribaltata l’assoluzione in primo grado: otto mesi all’imprenditore degli allevamenti
ALTIVOLE. L’operaio fu orrendamente dilaniato e ucciso dal miscelatore del mangime per i bovini. A dieci anni di distanza da quel tragico infortunio sul lavoro costato la vita a un suo operaio, ora l’imprenditore Loris Colomberotto è stato condannato a otto mesi di reclusione per omicidio colposo. Il titolare della Valleverde di Altivole, secondo i giudici, aveva il dovere di garantire le massime condizioni di sicurezza all’interno della sua azienda. Cosa che non ha fatto.


Non è bastato a Colomberotto, difeso dall’avvocato Piero Barolo, cercare di dimostrare che quel macchinario era stato dimostrato «conforme» in fatto di sicurezza dall’azienda produttrice. Non è bastato nemmeno sottolineare come la tragedia, avvenuta il 4 gennaio del 2008, fosse nata da un «comportamento anomalo» del lavoratore, che a suo rischio e pericolo si era avvicinato alle lame del macchinario senza prima spegnerlo. No: secondo i giudici della Suprema corte, «anche ipotizzando una grave disattenzione dell’operaio nell’esecuzione delle mansioni di caricamento, l’infortunio avrebbe potuto essere evitato ove fossero state adottate adeguate misure di sicurezza e la predisposizione di protezioni del carro miscelatore». Un compito che, secondo i giudici, toccava a Colomberotto perché «il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda». Da qui la condanna a otto mesi - pena sospesa - che conferma quella d’appello che aveva invece ribaltato l’assoluzione in primo grado. L’imprenditore e il suo avvocato ora stanno valutando se tentare l’ultimo e unico passo per cercare di rivedere la sentenza della Cassazione, presentando ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo.


Lo chiamavano tutti “Francesco”. Francisc Lorent, romeno di origini, aveva 48 anni. Sposato, padre di due figli, si guadagnava da vivere lavorando nell’allevamento dell’azienda di Colomberotto. Abitava praticamente a due passi dalle stalle, lì a San Vito. Quel maledetto 4 gennaio qualcosa è andato storto. Non ci sono testimoni («Abbiamo sentito delle grida strazianti provenire dal fienile, dove stava lavorando», diranno dopo i colleghi), ma a un certo punto Francisc ha lasciato il quadro di comando del macchinario e si è avvicinato alle lami trituratrici. Lì la tragedia: il miscelatore lo ha risucchiato e orrendamente trucidato. Una dinamica drammaticamente simile si era verificata solo quattro giorni prima: era il capodanno 2008 quando Giampietro de Conto, 50 anni, morì allo stesso, identico modo in un allevamento di Follina. Il costruttore del macchinario, modello “Bulldog” , aveva avvertito il Consorzio agrario di Treviso e Belluno sul fatto che quel modello di trituratrice era stato dichiarato “inidoneo” a causa del mancato rispetto di una direttiva dell’Unione Europea. Per i giudici, però, la responsabilità finale è del datore di lavoro.




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