Oltre 2.400 vu’ turnà Superlavoro in Curia

VITTORIO VENETO. L’anno scorso sono stati ben 1600 i discendenti dei trevisani all’estero che hanno chiesto ai competenti uffici della curia diocesana di Vittorio Veneto il rilascio dei certificati di battesimo dei loro avi per poter chiedere la cittadinanza italiana. Si tratta soprattutto di brasiliani che poi si iscrivono all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero. In provincia di Treviso, su 885. 972 residenti, ben 113.851 hanno l’iscrizione Aire, praticamente l’11,38%. Nella vicina provincia di Belluno, la percentuale sale al 19,65%. Gli iscritti, come è noto, hanno diritto di votare e questa circostanza influisce nella partecipazione. Per capire le conseguenze di questi numeri basti pensare che alle ultime elezioni, a Cison, è risultato ad esempio che si sia recato alle urne meno di 1 elettore su 2 (tenendo conto anche di quelli all’estero iscritti all’Aire); in verità ha partecipato l’80% degli aventi diritto presenti in paese.
La diocesi di Vittorio Veneto ha dovuto potenziare il “Servizio ricerche genealogiche e certificazioni” con nuovo personale, tante sono le richieste. Per poter diventare cittadini italiani (e quindi europei) è necessario dimostrare che i propri antenati sono partiti dall’Italia. E fino al 1.871 a registrare battesimi e matrimoni spesso erano solo i parroci, all’epoca anche ufficiali di stato civile. Da qui il super lavoro della diocesi: dalle 1.400 domande del 2016-2017, si è passati alle 2.400 del 2018 (con 1600 esiti positivi), alle 1.335 dei primi sei mesi dell’anno in corso (con 900 certificati rilasciati). Era stato, intorno ai primi anni 2000, don Noè Tamai, di ritorno da un’esperienza missionaria in America latina, ad avviare ricerche genealogiche delle famiglie all’estero che chiedevano la cittadinanza italiana. Ricerca che era poi passata ai parroci.
Il disbrigo delle pratiche è diventato così incombente che la diocesi ha deciso di farsi carico del problema. Soltanto a Vittorio Veneto ci sono più di 100 richieste l’anno, così pure a Cison. Sono ormai migliaia i sud americani che hanno acquisito la doppia cittadinanza. In curia si precisa che le parrocchie sono tenute dalla legge ad effettuare le ricerche per gli anni antecedenti il 1871 poiché allora solo alcuni Comuni avevano dei registri propri.
Non tutti i richiedenti si recano personalmente negli uffici della curia per chiede il certificato e poi per ritirarlo; anzi sono pochissimi, circa un centinaio all’anno. Ecco perché da parte dell’amministrazione della diocesi si ritiene che sia contenuto il numero di coloro che sono veramente interessati a riscoprire le loro origini: vengono in provincia, vogliono andare nel paese da cui sono partiti gli avi, vedere possibilmente la casa della famiglia e la chiesa. La maggior parte dei richiedenti lo fa per motivi di lavoro, con la speranza di tornare in Italia o stabilirsi in altri paesi dell’Ue, considerata la crisi che attraversa numerose realtà del Sud America. Tanti utilizzano il passaporto italiano per entrare più facilmente negli Usa.
La richiesta arriva solitamente via e-mail o con una telefonata. E con l’indicazione dei nomi degli antenati, degli anni di nascita o di matrimonio o della parrocchia. Individuati i dati dell’avo, viene compilato il certificato e inviato per posta. Le spese? Circa 50 euro. Non mancano sul territorio intermediari che si prestano per lo stesso servizio ma che pigliano dieci volte tanto. Con il certificato il richiedente avvia la pratica al consolato, ma l’iter è lungo. Altri trasferiscono temporaneamente la residenza in un comune italiano e così il percorso si abbrevia. —
Francesco Dal Mas
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso