Nuovo Dna, riaperto l’omicidio Pedron

ODERZO. La Procura di Pordenone riapre, per la seconda volta, l’omicidio di Annalaura Pedron, la babysitter strangolata il 2 febbraio del 1988 in un appartamento di via Colvera. La ragazza da 28 anni è sepolta a Oderzo, dove abitano i parenti del padre, mentre la madre ha gestito per anni una cartolibreria a Portobuffolè.
Il fascicolo, al momento a carico di ignoti, è stato affidato al sostituto procuratore Annita Sorti. A scoperchiare il cold case è un ex fidanzato della vittima, che ha inviato una segnalazione in Procura. Un esposto dettagliato, che gli inquirenti non hanno potuto ignorare e che porta alla luce nuovi elementi, ora al vaglio degli investigatori. L’ex fidanzato punta il dito contro ambienti vicini alla setta Telsen Sao, nella quale rimase invischiata, all’epoca, gran parte della Pordenone bene. La stessa Annalaura Pedron e il suo compagno avevano fatto parte di Telsen Sao, come molti altri protagonisti sfiorati e poi usciti dall’inchiesta. Ma la pista investigativa, allora, era finita in un vicolo cieco. Finché, nove anni fa il caso era stato riaperto grazie alle nuove tecnologie applicate alle indagini, come il test del Dna. Attraverso le tracce di sangue raccolte sulla scena del crimine fu identificata una persona. Nel maggio del 2008 il profilo genetico venne ricondotto a David Rosset, che all’epoca dell’omicidio aveva 14 anni, figlio di un appartenente alla setta.

Ormai trentaquattrenne e impiegato in un negozio di informatica, venne convocato in Questura e indagato. Il processo in primo grado, celebrato al tribunale dei minorenni di Trieste, si concluse il 25 giugno del 2011 con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Quattro anni dopo, la Corte d’assise d’appello riformò la sentenza e assolse David Rosset per incapacità di intendere e di volere al momento dell’omicidio. Già nel corso del processo d’appello si era parlato di un secondo profilo genetico maschile rinvenuto nell’appartamento teatro dell’efferato delitto. La difesa dell’imputato aveva chiesto l’acquisizione dei documenti della Procura di Pordenone che, l’anno prima, aveva aperto un fascicolo per risalire all’identità del secondo dna trovato nell’appartamento di via Colvera.

L’ipotesi della difesa era che la responsabilità dell’efferato delitto potesse essere ricondotta a un altro volto, rimasto, fino a quel momento nell’ombra. Sulla scena del crimine – fortemente inquinata dagli stessi soccorritori – erano state trovate tracce biologiche di un secondo profilo genetico, dal quale potrebbero emergere ora retroscena inediti di quel delitto. Si tratta di un Dna parziale, che i consulenti nominati dal pm stanno esaminando in laboratorio. Il materiale biologico recuperato, tuttavia, è sufficiente per arrivare a un’identificazione. Cosa nasconde quel Dna? Il volto dell’assassino o di un suo complice? Saranno gli accertamenti disposti dalla Procura a dare una risposta.
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