«Noi? Siamo come voi» 5 storie diversamente abili

Aula gremita per sentire il racconto di ragazzi e ragazze che, pur con delle disabilità,  hanno sfidato le avversità  trovando un senso al dolore 

Curiosità, gioia, imbarazzo, trasporto: sono state molte le emozioni suscitate sabato mattina dall’ultimo appuntamento del progetto “Noi come voi” dell’Istituto Besta, al polo in Strada San Pelajo che ospita l’indirizzo di Servizi sociali.

il progetto

Come ci racconta Catia Meneguz, referente del progetto, «questo progetto, incentrato sull’offerta di un’integrazione reale alle persone diversamente abili, va avanti da tre mesi ed è valido per l’alternanza scuola-lavoro. È un’opportunità molto importante per i ragazzi, per abbinare ai loro studi esperienze pratiche collegate a settori lavorativi che rappresentano alcuni degli sbocchi offerti dalla nostra scuola». L’aula magna era gremita di studenti delle classi quarte e quinte. All’inizio ci sono state le presentazioni e relazioni dei professionisti che hanno accompagnato i ragazzi – le dottoresse Piovesan e Boer, il dottor De Polo e il gruppo delle fisioterapiste – poi ogni classe ha presentato il suo progetto attraverso un cartellone. Infine la parola è passata alle cinque persone diversamente abili venute a testimoniare le loro esperienze.

Le testimonianze

Il primo è stato Luca Gubernale, 25 anni, affetto da tetraparesi distonica, laureato in Filosofia e autore del libro “Discorso sulla disabilità”. Alla domanda se si sentisse diverso, discriminato o giudicato ha risposto: «Mi sento decisamente normale poiché la disabilità è solo un concetto che noi usiamo per categorizzare la realtà. In più, da un altro punto di vista, siamo tutti diversamente abili, nel senso che siamo tutti unici e diversi. Quindi non mi sento discriminato, ma giudicato sì, come tutti d’altronde». Flavio Biz, 42, affetto da paralisi cerebrale infantile, laureato in Lettere e socio e fondatore della libreria Marco Polo a Venezia, ha sottolineato che «una fortuna che forse noi abbiamo è la possibilità e la capacità di ricominciare sempre. Io vivo a Venezia, una città piena di barriere architettoniche, ma perché dovrei rinunciare a uscire? Al massimo cado e mi rialzo. Le persone non disabili invece a volte si lasciano abbattere troppo da piccole cose». Rossella Cappotto, 47, affetta da paraplegia a causa di un trauma da incidente e madre di due ragazzi, ha risposto ad una domanda sull’affettività: «Poco dopo il mio incidente, quando già avevo due figli piccoli, ho divorziato. Per me è stato fondamentale l’incontro con un’altra persona. Abbiamo imparato tante cose assieme, ci siamo messi in gioco, sono stati decisivi i sentimenti profondi tra di noi».

«Mai rinunciare»

Eddy Bontempo, 39 anni, affetto da atrofia muscolare spinale, laureato in Statistica e Informatica, dal 2009 è presidente dell’onlus Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare: ha sottolineato come non sia stato per lui facile accettare la sua disabilità, ma che grazie soprattutto a sua madre ci è riuscito, e che «rinunciare e chiudersi in casa è sempre sbagliato». Infine Omar Torrisi, 29 anni, affetto da paralisi cerebrale infantile, laureato in Matematica, impiegato informatico: «Per me è molto importante prendere parte a questi progetti, perché mi permette di fare cose che altrimenti non farei, come parlare della mia condizione. La disabilità non va considerata qualcosa da nascondere, è molto rischioso pensare che tutti i limiti possano essere superati: alcuni sono invalicabili, ma con il tempo si può imparare a conviverci sempre meglio».

Alberto Pozzobon

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso