Monti, causa da 30 milioni di euro

Canoni non pagati nelle valli da pesca, lo Stato denuncia il gruppo tessile
Sopra, la Monti di Maserada A destra, valli da pesca nella laguna di Venezia
Sopra, la Monti di Maserada A destra, valli da pesca nella laguna di Venezia
 
Lo Stato ha intentato una causa record da 30 milioni di euro contro il Gruppo Monti. La holding che controlla l'azienda tessile di Maserada è anche proprietaria di valli da pesca sparse tra Venezia, Burano e Jesolo, sui quali lo stato chiede il pagamento di canoni mai versati.
 La causa è giunta in Cassazione e dal suo esito può dipendere il futuro del gruppo tessile. L'accusa mossa dallo Stato è di occupazione senza titolo degli immobili posti sulle valli lagunari, dove il Gruppo Monti attraverso l'Immobiliare Grassabò - controllata a sua volta dalla Finanziaria La Valle, sempre della famiglia Monti - ha diversificato gli investimenti puntando sull'allevamento estensivo di molluschi e pesci lagunari. Un'attività portata avanti con successo negli anni, fino a quando non è arrivata la notifica di una prima causa penale intenta dallo Stato per usurpazione di proprietà pubblica, vinta però in Cassazione dai Monti, che avevano allontanato lo spettro di una condanna facendo valere le proprie ragioni in tribunale. La pace è durata però poco tempo, visto che a stretto giro è arrivata una seconda mazzata: l'apertura di una causa civile, sempre intentata dallo Stato italiano, che ritiene le valli da pesca di proprietà della Immobiliare Grassabò territori demaniali, richiedendo quindi il pagamento dei canoni di affitto arretrati per un importo di quasi 30 milioni di euro includendo una recente richiesta aggiuntiva di oltre 11,5 milioni di euro. Secondo l'Avvocatura di Stato, infatti, gli immobili e le proprietà che costellano le grandi valli naturali incastonate nella Laguna di Venezia, sarebbero occupati dalla società controllata dai Monti senza che questa ne abbia però pieno titolo. Una tesi sconfessata dal consiglio di amministrazione della Immobiliare Grassabò, che considera la pretesa «esorbitante, certamente errata e del tutto sproporzionata rispetto alla redditività degli immobili in questione e ai ridottissimi canoni demaniali richiesti in casi simili». Tutte motivazioni che hanno portato il Gruppo Monti a giocarsi il ricorso in Cassazione, ultima carta possibile per poter scongiurare un esborso milionario - poco meno del 50% del fatturato del gruppo, costituito per buona parte delle entrate della storica Tessitura Monti - che potrebbe minare dalla fondamenta l'assetto della holding.

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