Messaggi osè alla prof, assolto il preside

«Hai un bel culetto, sei come una maialina». La difesa: riconosciuto il fatto che era un corteggiamento virtuale
Di Fabio Poloni
Tome Treviso scherzo alberto filippi studente palladio
Tome Treviso scherzo alberto filippi studente palladio

Il preside scrive a una docente che lei ha «un bel culetto» e che è «come un maialino, di cui non si butta via niente». Molestie a sfondo sessuale? No, un normalissimo scambio di battute, o al limite un corteggiamento un po’ colorito - ma nemmeno troppo - ai tempi di Whatsapp e chat varie tra due persone adulte. Franco de Vincenzis, dirigente scolastico, è stato assolto ieri dall’accusa di molestie aggravate nei confronti di un’insegnante quarantenne: secondo il giudice, «il fatto non sussiste».

Si chiude così - a meno di ricorsi in appello da parte della presunta vittima - una vicenda giudiziaria lunga tre anni, dai toni boccacceschi se vista dall’esterno, decisamente più drammatici per chi l’ha vissuta sulla propria pelle. De Vincenzis, dirigente scolastico dell’istituto tecnico per geometri “Palladio” di Treviso all’epoca dei messaggi “incriminati” - ora al liceo “Giorgione” di Castelfranco - tira un sospiro di sollievo per la «fine di un incubo e di una gogna mediatica» (l’intervista nell’articolo qui a fianco). In attesa delle motivazioni della sentenza di assoluzione da parte del giudice, il legale del dirigente, l’avvocatessa Maria Rita Innocentin, parla invece di «riconoscimento del fatto che si trattava di una semplice relazione, più che amicale e del tutto consenziente, tra due adulti». Una relazione «virtuale, un corteggiamento via chat e messaggi» durata settimane, mesi, «chilometrica» secondo l’avvocato, dalla quale sarebbero stati «estrapolati e distorti quattro o cinque messaggi un po’ scabrosi».

Alla luce della sentenza, ora tutto ciò fa sorridere e sembra di fare l’analisi semiotica di una commedia all’italiana degli anni Settanta, ma tant’è: chiediamo all’avvocatessa di essere più precisa perché in tribunale, nel corso del processo, si era parlato di «maialina» e «bel culetto». «La vicenda della maialina», spiega Innocentin, che in questo caso ha trasferito il nomen omen quasi vezzeggiativo sul suo assistito, «era nata perché, in occasione delle feste di Natale, la docente aveva scritto al preside che per colpa della cucina di una sua zia stava “mangiando come un maiale”, in quei giorni. Allora lui, visto che in precedenza avevano parlato delle sue abilità professionali su diversi fronti, le ha scritto che lei “è come un maialino di cui non si butta via niente”». E passiamo agli apprezzamenti anatomici sul fondoschiena, allora: «Era stata lei», spiega ancora l’avvocatessa, «in una chat precedente a dire che un suo collega continuava a farle apprezzamenti per il suo lato “B”. A quel punto anche il mio assistito ha parlato di “bel culetto”».

Il giudice, insomma, ha sposato la tesi difensiva della minimizzazione. «Sentenza che ovviamente rispettiamo ma non condividiamo», dice l’avvocato della donna, Francesco Leone, «aspettiamo le motivazioni del giudice e poi presenteremo ricorso in appello. Altrimenti il messaggio è che tutti possono scrivere tutto, alla faccia del rispetto per le donne».

Dietro l’aspetto boccaccesco in chiave moderna della vicenda c’era anche una piega ben più scivolosa, ovvero l’accusa - formulata sempre dalla donna - di essere stata vittima di discriminazioni sul luogo di lavoro dopo aver presentato la denuncia per molestie. In pratica, secondo la docente, le sarebbero stati tolti alcuni incarichi per ripicca: «Accusa odiosa», la liquida così l’avvocatessa del preside.

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