Meno smog e buona fioritura, le api prosperano grazie al lockdown

TREVISO. Una danza per segnalare i fiori, nell’aria si sente solo il ronzio, tutto attorno odore di prato. Per fare l’apicoltore bisogna metterci l’anima. Giusto il tempo di fregarsi un po’ le mani e appoggiarle con delicatezza al telaino dell’alveare per far sentire il suo calore. Un’azione importante.
È come se le api percepissero la sua presenza, allora si fanno da parte, nessuna si azzarda a dargli contro. Bruno Marcon non indossa lo scafandro né ha con sé il dispensatore di fumo. Fa tutto a mani nude.
Api docili «Le mie api di specie carnica e di madre austriaca sono tra le più docili che abbia mai avuto» sorride, parco di parole ma orgoglioso di quanto ha creato. Da pochi mesi è stato nominato Cavaliere della Repubblica, un riconoscimento per l’omonima azienda fondata 45 anni fa a Volpago del Montello che ci ha aperto le porte. Oggi ricorre la Giornata Mondiale delle Api, un doveroso tributo alle protettrici della vita sul nostro pianeta.

Doppio primato La provincia di Treviso vanta in questo senso un doppio primato: ospita il maggior numero di apiari a livello Veneto, ben 2.628 dei 12.176 censiti sul territorio, e il maggior numero di impiegati nel settore, ben 1.654 su 7.042. Il signor Bruno è partito da un piccolo spaccio di miele e da una falegnameria che produceva serramenti ed è stata riconvertita in laboratorio per fabbricare le arnie.

«Mio nonno Domenico aveva dodici alveari, ho imparato da bambino a prendermi cura delle api e da allora non ho più smesso».
Oggi Bruno custodisce 450 alveari e 800 cassettine per allevare api regine. Sono collocate in un posto dove il frumento lascia spazio al bosco di acacie e castagni. Abile artigiano e curioso sperimentatore, Bruno ha creato un percorso didattico per le scuole e costruito anche un ospedale per le api dove vengono guarite dagli acari riscaldando l’ambiente a 42°C.
Una buona annata «Quest’annata si preannuncia molto promettente, con un 60 per cento di produzione in più rispetto all’anno scorso. La chiusura dovuta al coronavirus è stata importante ma non determinante, ha influito soprattutto il buon clima: un inverno mite e una fioritura abbondante dell’acacia, accompagnata dal bel tempo, che ha permesso alle api operaie di lavorare al meglio» aggiunge Stefano Dal Colle, presidente di Apat-Apicoltori del Veneto, ricordando che ogni alveare genera in media tra i 20 e i 25 kg di miele d’acacia, tra i 10 e i 20 kg di millefiori.
Ma è una soddisfazione labile, visto che il mutamento climatico e l’inquinamento stanno seriamente minacciando la sopravvivenza degli alveari, costretti a emigrare in quota per scampare ai diserbanti che li ammalano e fanno diventare sterili le regine.
La lettera A questo proposito, pochi giorni, fa l’associazione Apat ha inviato una lettera ai Comuni, alle cantine sociali, ai tecnici viticoli e ai rivenditori di prodotti agricoli della Marca, chiedendo di rispettare gli accordi presi tre anni fa con il Ministero delle Politiche Agricole per far convivere al meglio viticoltura e salvaguardia del patrimonio apistico.
«Sia chiaro, non siamo contro l’agricoltura ma contro quei singoli che utilizzano i prodotti fitosanitari in maniera scorretta e irresponsabile, che ad esempio trattano i vigneti con fioritura sottostante, o quando tira molto vento e le sostanze chimiche si disperdono ad ampio raggio facendo morire le nostre api» ricorda il presidente Apat.
Dal boom economico in poi le api hanno avuto vari nemici nel Trevigiano, ricorda il signor Bruno: «Prima i frutteti, poi il mais e ora i vigneti che sono diventati intensivi. L’uomo può fare la differenza, ma deve essere responsabile dell’ambiente». Sono considerazioni per nulla banali, che valgono forse al di là dell’interesse per questi insetti, considerazioni che potrebbero essere allargate all’intero ecosistema e alla vita che lo governa.
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