«Mamma diceva sempre: papà io non l’ho mai visto Adesso i nostri cari riposano nel posto giusto»
la cerimonia
Assunta Bortolotto, 68enne di San Vendemiano, non trattiene le lacrime. È la nipote di Luigi Moro, genio zappatori, deceduto a 32 anni sul Carso. «Mamma ripeteva sempre: “Papà non l’ho mai visto”», racconta. Non passano inosservate le sorelle Scomparin: l’84enne Renata, l’81enne Clementina, la 78enne Franca. Umberto Buosi era il loro zio, Giovanni Vittorio il nonno. Due fratelli: l’uno del 68° Fanteria, l’altro della 102ª Batteria mitraglieri. «Sapevamo che riposavano nel sagrato, in famiglia se ne parlava», ricordano, «Mamma Teresa, quando andava a messa, s’inginocchiava sempre lì. E, nelle ricorrenze, portava lo stendardo». La traslazione di cinque caduti della Grande Guerra diventa viaggio nella memoria. Succede a Pero, dove affondano le radici dei soldati e ieri la comunità si è raccolta. Succede a Fagarè: ora le spoglie trovano collocazione nell’arcata destra del Sacrario militare, accanto a 1.300 militi ignoti.
Un omaggio cui partecipano i discendenti, nipoti e pronipoti. Generazioni che s’intrecciano, racconti e commozione. Quei parenti sui primi banchi della parrocchiale, orgogliosi di spiegare e condividere, sono l’istantanea simbolo di una giornata che la piccola frazione di Breda non dimenticherà. La chiesa dei Santi Giuseppe e Colombano, da cui tutto è partito, è piccola per contenere l’affetto del paese. E un’altra immagine, durante la funzione funebre, diventa il riassunto più efficace del senso di comunità: un paesano, dopo la comunione, accarezza le urne dei militi. «Mi ha colpito, troppo spesso l’indifferenza avvelena la nostra società», riflette il generale Alessandro Veltri, commissario onoranze caduti (c'è pure Amedeo Sperotto, comandante forze operative Nord). I resti dei cinque "figli" di Pero erano contenuti in una cassa, nella tomba sacerdotale. I lavori di rifacimento del sagrato, nel settembre 2018, li hanno riportati alla luce. L’opera certosina del professore Alfonso Beninatto ha permesso di ricostruire il filo della storia. E se i discendenti sono stati ritrovati, viceversa non è chiaro il motivo della collocazione sotto il sagrato. «Sapevamo che lì c’era un ossario, ma non i caduti», osserva un paesano, mentre assiste al picchetto d’onore - interforze: Carabinieri, Aeronautica, Esercito - tributato alle cinque urne avvolte nel tricolore. Contengono le spoglie di Giovanni Romanello, mitragliere deceduto nel ’18 sul Grappa, nella Battaglia del Solstizio. E dei fratelli Umberto e Giovanni Buosi, di Luigi Moro e Pietro Vido: caduti sul Carso, due anni prima. Quattro fanti, mentre Vido apparteneva al 13° Cavalleggeri Monferrato.
Antonietta, 81 anni, è la nipote. Mostra fierezza, gli occhi soddisfatti. Perché il nonno ha trovato finalmente un luogo degno in cui riposare. «Mi avevano detto che era qui, per un po’ aveva trovato posto al Sacrario di Redipuglia», rivela. Giovanna Cagnato, 83enne di Olmi, è qui per Romanello, il nonno materno: «Mia nonna si ritrovò vedova a 27 anni, con quattro bimbi da svezzare». Parole che riportano allo strazio, alla lunga scia di lutti. La rimarca Moreno Rossetto, sindaco di Breda, ragionando sul mondo contemporaneo: «Sono preoccupato, noto divisioni e litigiosità fra nazioni: oggi si combattono guerre commerciali e digitali, non dobbiamo distruggere il patrimonio di pace che ci siamo conquistati».
La linea del Piave poco più in là, a un tiro di sguardo il Sacrario datato 1933 con 10.541 soldati. Incluso l’unico caduto statunitense del fronte italiano: Edward Mc Key, amico di Hemingway. Il prefetto Maria Rosaria Laganà: «Portate i giovani nei sacrari, scopriranno immagini altamente evocative». —
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