L’impero dell’Olio Cuore e l’agonia dei maxi-debiti

TREVISO. Sulle sponde del Sile per molti anni la ditta “Chiari & Forti” è stata un simbolo del Nord Est che produce, con l’insegna dell’Olio Cuore a svettare; poi è diventata succulenta occasione immobiliare, occasione di speculazione, invece, secondo altri. In ogni caso, un fallimento. E dalle ore 19 di ieri anche un pericolo.
L’incendio che ha devastato la “Chiari & Forti” non ha distrutto solo dei vecchi capannoni abbandonati, che venerdì sarebbero andati all’asta per la terza volta, ma ha cancellato anche una rappresentazione dello sviluppo, non sempre rispettoso, del Nord Est. La parte più antica dell’opificio è risalente addirittura al 1881. Quell’anno il cavalier Angelo Toso, divenuto proprietario per via ereditaria dell'area tra il Sile e il Roggia, costruisce un opificio all'estremità inferiore di un canale che doveva convogliare nel Sile le acque del Melma. Il 19 settembre 1922 viene fondata a Venezia la Società Anonima Mulini Angelo Toso, il presidente è l'ingegner Giancarlo Stucky. Della stessa famiglia proprietaria dello spettacolare mulino alla Giudecca. Una proprietà che anni dopo si riunirà sotto Francesco Bellavista Caltagirone, che proprio per questo chiamò il piccolo mulino all’interno della Chiari & Forti, lo Stuckyno. Nel 1937 gli Stucky vendettero l'area alla ditta parmense Chiari & Forti per 1.850.000 lire.
Ne nasce un impero che produrrà oli per mezza Europa, negli Anni Settanta arriva anche l’insegna dell’Olio Cuore. Nel 1979 la Quacker Oats, azienda americana, arriva a detenere l'80% della società e, dal 1982, addirittura il controllo pressoché totale del gruppo, con Giulio Malgara a dirigerla. Nel 1995 dopo essere uscito dall’azienda, la compra, e la “Chiari & Forti” torna ad essere una società interamente italiana. Ma, di fatto, è questo l’ultimo sussulto produttivo di quell’area. Undici anni dopo, a seguito di un progressivo svuotamento dell’attività, la compra l’imprenditore romano Francesco Bellavista Caltagirone. Già da anni a Silea si fanno progetti di riqualificazione, voluti proprio da Giulio Malgara. L’architetto Mario Botta va in sopralluogo. Anche a causa del Piruea cadono uno dopo l’altro due sindaci, poi quando le carte sono ormai pronte, e il piano di recupero praticamente approvato, Malgara la vende per 25 milioni a Acqua Pia Antica Marcia, l’immobiliare di Caltagirone.
Il progetto, tuttora valido in linea teorica, prevede un’edificazione di 249.447 metri cubi su una superficie di poco inferiore ai 90mila metri quadrati. Di questi, 110 mila sono di nuova costruzione, gli altri invece recuperati dagli edifici esistenti. Un’operazione, nel 2006, valutata in 220 milioni di euro, con 56 mila metri quadrati di residenza (600 appartamenti), 16 mila di uffici, 12 mila di negozi e un hotel di lusso esteso su 18 mila metri quadrati, proprio nel vecchio Mulino Stucky, quello che ieri sera è andato in fiamme.
Ma poi, a inaugurazione dell’area avvenuta (in pompa magna, con le autorità locali e regionali), Francesco Bellavista Caltagirone viene investito improvvisamente da una bufera giudiziaria: finisce sotto inchiesta per il porto d’Imperia e per l’area Calchi Taeggi. Finisce pure in carcere (poi, la sentenza è di pochi mesi fa, verrà assolto dalle accuse). Tutto questo, unito alla grave crisi del settore immobiliare, porta il suo impero a crollare in pochi anni come un castello di carte. Al concordato preventivo finisce anche la “Silea Parco”. Il debito complessivo ammonta a 43 milioni, di cui 16 dovuti ad Acqua Marcia che vi ha rinunciato. Ne restano dunque 27, a questo punto, da recuperare. L’area, ferita aperta nel territorio comunale a ridosso del Sile, è già andata all’asta due volte, prima con una base di 12,3 milioni di euro, poi a 11,3 milioni, ora a 9,1 milioni. E proprio venerdì 10 aprile è l’ultimo giorno per presentare le offerte d’acquisto.
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