Le maghe si pentono: politici dai veggenti

Convegno del Gris a Vittorio Veneto: anche molti disoccupati si sono rivolti alle cartomanti per trovare un lavoro

VITTORIO VENETO. I politici dai maghi per imparare… l'arte e metterla da parte. È una delle tante sorprese del convegno del Gris, il Gruppo di ricerche sulle sette, delle diocesi di Vittorio Veneto e di Treviso, svoltosi ieri a Ceneda, in seminario, sui temi della magia. «La categoria dei politici è una delle più assidue dalle cartomanti e dai veggenti», conferma Bepi Bisetto, uno dei fondatori del Gris in provincia, «loro ci vanno nonostante la crisi, perchè hanno i soldi, ma soprattutto perchè non hanno altre possibilità di misurare la possibile vittoria, piuttosto che la sconfitta». I maghi in provincia sono 42, quelli almeno ufficiali, con tanto di pubblicità sui giornali o negli elenchi telefonici. Ma il censimento del Gris è arrivato a conteggiarne più di cento, la maggior parte di loro svolge attività in incognito, per tenersi lontani, anzi lontanissimi dalle tasse. Le sedute costano una media di 25-30 euro, la metà rispetto ai tempi della pre-crisi. Il giro d'affari non è quantificabile, ma secondo gli esperti del Gris non è inferiore al milione di euro l’anno. Tre cartomanti hanno portato la loro esperienza ai convegnisti: Renata di Castelfranco, Manuela di Montebelluna, Raffaela di Oderzo. Tutte e tre pentite, perché - come hanno spiegato, «abbiamo conosciuto il male e l'abbiamo amministrato a chi ci chiedeva aiuto e immaginava esiti opposti». Anche con casi eccezionali, come i pazienti che – a loro dire - hanno avuto esperienza diretta del demonio. «Oggi si va dalla cartomante piuttosto che dal mago per questioni d'amore o di salute, per vendere la casa al migliore profitto o per superare determinati esami scolastici, per vincere un concorso o altre prove della vita», spiega don Michele Favret, anche lui componente del Gris, «ma perfino per trovare lavoro, prima ancora che per non perderlo». È un costo evidentemente superfluo, quello della veggente, ma perfino chi è in cassa integrazione o addirittura in mobilità, e quindi non ha i soldi neppure per mangiare, non sa rinunciare. «È un fatto culturale, una dipendenza che ha messo radici profonde nella persona più fragile», spiega don Michele.

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