Le lettere disperate dai bordelli di Treviso: «Qui ci mangiano fino al midollo»

Malate, impazzite, drogate per essere vendute 40 volte al giorno, tante finivano al Sant’Artemio  

TREVISO. Devastate dalle malattie veneree, travolte dalla follia, abbrutite da alcol e droga. Molte prostitute trevigiane “impiegate” nei bordelli del centro storico finivano ancora giovani la loro esistenza nel manicomio di Sant’Artemio e i loro bambini nel vicino brefotrofio. «Anche se non conosciamo nomi e cognomi, molte donne hanno sicuramente sofferto e sono morte nell’ospedale psichiatrico».

Lo afferma Raffaella Frattini che ha curato con Luisa Tosi e Paola Bruttocao un libro pubblicato da Istresco e dedicato alla struttura aperta ai primi del Novecento, in cui approdarono migliaia di disperati, dai reduci di guerra alle cosiddette “donne di malaffare”, che in realtà erano vittime di povertà senza via d’uscita. Lo raccontano loro stesse nelle lettere spedite alla senatrice Lina Merlin, quella che nel 1958 riuscì a far varare la legge che chiudeva i bordelli nel nostro Paese.

«In questi giorni si fa un gran discutere di case chiuse, di quanto sarebbe meglio riaprile, di come offrissero igiene e sicurezza, tutte fandonie», precisa Frattini che cita le testimonianze raccolte nel libro “Lettere dalle case chiuse” pubblicato nel 1955.

Alcune di queste ragazze potrebbero essere trevigiane poiché nel capoluogo della Marca, come ha scritto Gian Domenico Mazzocato, il mercato era fiorente seppur anche allora contestato. Altro che mestiere, era una vera tratta, una «ignominia», scrive la Merlin che tanto si batté per porre fine allo «sfruttamento legalizzato delle donne».

Tra le testimonianze coperte da anonimato una ragazza confessa: «Sono entrata nella casa di mia volontà spontanea perché non sapevo più che altro fare, erano mesi che mangiavo una volta ogni due giorni e nessuno mi dava lavoro e tante volte non potevo andarci io al lavoro perché capivo che mi volevano però non per lavorare».

Donne sole, vedove, con il marito in guerra, spesso con figli a carico da sfamare. E per tenere il ritmo dei trenta o quaranta uomini al giorno da soddisfare, venivano drogate o imbottite d’alcol.

Chi sopravvive racconta il dramma delle compagne di stanza. Ancora dalle lettera alla Merlin: «La mia amica in un giorno si è fatta 42 uomini e sfinita al giorno dopo viene visitata dal Dottore e la manda all’ospedale con 4 croci in più di Lue, ormai una ragazza rovinata».

C’è chi non regge al degrado, si sente “carne da macello” e decide di farla finita. «Soltanto ieri una nostra disgraziata collega à posto fine alla sua vita con solo 24 anni, stanca della vita infame che si trascorre in questi infami luoghi sfruttate al massimo goccia per goccia per essere poi disprezzate da loro che ci mangiano sino al midollo».

Non è pensabile, secondo Raffaella Frattini, dimenticare tutto questo e ritornare al passato, ai tempi in cui le prostitute a 30 anni erano considerate scarpe vecchie da buttare, travolte dalla spirale della follia. Il disastro personale coinvolgeva anche i figli, già nati o in arrivo, poiché le prostitute spesso rimanevano incinte.

Alcune sobillate dalle tenutarie cercavano di sbarazzarsi del bambino con metodi abortivi artigianali (e spesso ne morivano) altre decidevano comunque di far nascere il bimbo però poi lo abbandonavano perché il bordello non era certo il posto ideale per un neonato.

Anche in manicomio si registravano delle nascite che venivano ritenute “sospette” e i piccoli venivano subito trasferiti nella struttura vicina, il brefotrofio, specializzato nell’accoglienza di bambini abbandonati, figli illegittimi o di madri che non se ne potevano occupare. Come nel caso delle prostitute impazzite.

I disagi mentali erano provocati, oltre che dalla depressione, anche dalle malattie trasmesse sessualmente, sifilide in primis, quella Lue citata nella lettera della giovane prostituta preoccupata per l’amica molto malata. Il contagio, oltre che da uomo e donna, può estendersi anche al feto attraverso la placenta.

In questo caso il neonato sviluppava malformazioni alla pelle, all’apparato scheletrico o avere problemi agli occhi, fegato, reni. Qualche volta da madre impazzita nasceva un bimbo con patologie del sistema nervoso e il tragico destino accomunava tristemente madre e figlio. 


 

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