La truffa sventata del boss della Magliana

Stava per mettere a segno una truffa da 150.000 euro quando è stato arrestato dai carabinieri nella Marca, dove cercava da tempo di nascondersi per sfuggire a una condanna a un anno e nove mesi per ricettazione. Si tratta di Guglielmo Sinibaldi, ex esponente di spicco della banda della Magliana, attualmente recluso nel carcere di massima sicurezza di Teramo. I fatti, ricostruiti dagli inquirenti, risalgono al marzo dell’anno scorso. Ora le nuvoe contestazioni. Poco prima che i carabinieri gli mettessero le manette ai polsi a Istrana, Sinibaldi aveva organizzato una sofisticata truffa, finalizzata all’ottenimento di un mutuo trentennale. Aveva infatti convinto una donna, fingendo di avere «le opportune conoscenze con numerosi istituti di credito», ad aprire un conto corrente presso la “IW bank” dove sarebbero finiti i soldi del finanziamento. In questo modo si era fatto consegnare dalla donna tutti i documenti necessari e, entrando poi in possesso dei codici riservati, «aveva posto in essere atti idonei a procurarsi un ingiusto profitto corrispondente all’intera somma erogata a titolo di mutuo». Il colpo però è sfumato quando i carabinieri l’hanno arrestato a Istrana, dove cercava di nascondersi, il 28 marzo scorso.
All’epoca era però sfuggito che quello di Sinibaldi era un nome di spicco della malavita romana, tanto da essere considerato uno degli uomini più importanti della Banda della Magliana. Insieme a Maurizio Abbatino, “il freddo” di Romanzo criminale, Sinibaldi è stato tra i pentiti che hanno permesso il parziale smantellamento della banda grazie all’operazione “Colosseo” del 1992.
Il suo nome ricorre in tutte le principali inchieste che hanno riguardato la feroce organizzazione: dalla strage alla stazione di Bologna alle rapine più sanguinose messe a segno nella capitale negli anni Ottanta e Novanta. «Sì, il 2 agosto ero in stazione. Avevo l’incarico di controllare il commando che metteva la bomba e di aiutare a fuggire il neofascista Gilberto Cavallini. Sapevo che “ci sarebbe scappato il morto”, anche se non immaginavo una strage di quelle dimensioni. Un uomo dei Servizi segreti mi disse che dopo Ustica adesso toccava a noi». Nel 1992 queste parole di Sinibaldi, confidente dei carabinieri con buone frequentazioni anche tra i servizi segreti e amicizie negli ambienti del neofascismo della capitale, furono al centro di un vero e proprio “mistero”. Le sue parole, che alla fine si rivelarono false, erano finite sul tavolo del giudice dell’inchiesta-bis sull’attentato alla stazione di Bologna e aveva tenuto impegnati per settimane gli uomini dell’Antiterrorismo. Un chiaro depistaggio messo in piedi da chi non voleva che la magistratura scoprisse la verità sulla strage di Bologna.
Sempre in quegli anni Sinibaldi scrive alcuni manoscritti, che gli vengono sequestrati, in cui svela il ruolo di cassiere della banda di Enrico Nicoletti, ex carabiniere e poi usuraio e truffatore. Verranno utilizzati al maxiprocesso contro la Banda della Magliana. Secondo Sinibaldi, alla morte di Renatino De Pedis (“il dandy” di Romanzo criminale), l’intero tesoro della banda era finito sotto la gestione e l’amministrazione proprio di Nicoletti, per anni la banca dell’intera organizzazione, in grado di moltiplicare i profitti illeciti attraverso diverse operazioni finanziarie.
Sinibaldi torna poi a far parlare di se pochi anni dopo. Nel 1996 è infatti al centro di un giallo che si dipana per mezzo mondo, con indagini condotte anche dall’americana Dea e che conduce fino a Noriega, l’ex dittatore panamense poi arrestato e condannato a Miami. Tutto comincia con tre rapine tra Firenze e Milano negli anni Ottanta. I carabinieri non approdano a nulla, fino a quando proprio Sinibaldi, già condannato per vari reati, si presenta agli inquirenti chiedendo protezione perché, dice, esponenti della banda della Magliana lo minacciano. Sostiene che a rubare i gioielli è stata proprio l’organizzazione criminale, e torna a fare il nome di Enrico Nicoletti. Dice anche che una parte del bottino è stata affidata a lui. Per dimostrarlo, tira fuori un ippocampo con l’occhio di rubino, rapinato nel negozio Buccellati di Firenze. Ma le indagini non portano da nessuna parte e Sinibaldi viene denunciato e condannato per ricettazione.
Per anni Sinibaldi sparisce. Fino a quando non l’arrestano i carabinieri a Istrana. Ora, assistito dall’avvocato Ilaria Pempinella, dovrà affrontare anche queste nuove accuse che sono piovute sulla sua testa.
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