«La pedofilia non è solo in Chiesa Tutti i colpevoli vanno rieducati»

Parla don Paolo Slompo, 39 anni, direttore dell’ufficio per la pastorale giovanile della Diocesi 

l’intervista

«La pedofilia è una piaga che dobbiamo estirpare. Per fare questo non possiamo aver paura di affrontare il problema, la denuncia è il primo passo per costruire un mondo migliore, basato sulla trasparenza. Papa Francesco ha portato una ventata di novità invitando tutti ad abbattere i muri del silenzio, a confidarsi. È questa la strada da percorrere». Don Paolo Slompo, 39 anni, direttore dell’ufficio per la pastorale giovanile della Diocesi trevigiana, assistente di Azione cattolica per il settore giovani e Azione cattolica ragazzi, accoglie come un «gesto di coraggio utile a far emergere la verità» la denuncia del parroco montebellunese che ha dichiarato pubblicamente di essere stato vittima, da ragazzino, di abusi sessuali, da un uomo che frequentava la parrocchia di Biadene.

Si sta squarciando il velo di omertà sulla pedofilia anche da parte della Chiesa. Cosa sta succedendo?

«Il parroco ha preso esempio dalla lezione di schiettezza di papa Francesco. La Chiesa, guidata dal Papa, è sempre più impegnata a far luce sulla verità, anche quella della pedofilia. Papa Francesco ci ha invitati a una presa di consapevolezza per dire basta».

Quanto il mondo della Chiesa è coinvolto?

«La realtà è che questa malattia, che tocca l’uomo e dunque anche alcuni preti, causa drammi che si consumano soprattutto tra le mura domestiche. È una malattia che coinvolge anche insegnanti, allenatori…Comprendiamo che la pedofilia faccia più scalpore quando il responsabile è un prete, una persona che dal pulpito predica bene e poi, nell’oscurità, fa del male, è un’anomalia ancor più grave. La verità è che si tratta di una piaga sociale che si trova a vari livelli. Dobbiamo individuare e riconoscere il male per curarlo».

Qual è il ruolo degli educatori verso i giovani, potenziali vittime?

«Bisogna saper instaurare relazioni basate sulla fiducia reciproca. Far capire ai giovani che possono confidarsi, che hanno attorno una rete di persone che gli vogliono bene, dalla famiglia agli amici agli educatori. Il problema è quello dei ragazzi che vivono in una situazione di povertà, non materiale, ma sociale: la fragilità di relazioni li può mettere in difficoltà, in pericolo, quando non sanno mettersi nelle mani giuste. Per noi educatori la cosa più bella da fare è cercare di fare rete, di ascoltare, di non tenere nulla sotto una campana di vetro. Insegnanti, allenatori, amici, famiglie, se tutti siamo uniti il ragazzo prima o poi trova il coraggio e il modo di esprimersi».

Quali i sintomi del malessere nei giovani che possono aver subito un abuso?

«Se il ragazzo si mostra scontroso, se si chiude troppo nel silenzio, questo può essere sintomo di un disagio, non necessariamente grave come un abuso, ma comunque da approfondire. Significa che il ragazzo ci sta chiedendo aiuto e dobbiamo fargli capire che ci siamo».

Anche i responsabili degli abusi vanno aiutati?

«La pedofilia è una malattia di cui prendersi cura, la persona malata deve iniziare a chiedere aiuto per attrezzarsi e trovare gli strumenti per curarsi. Ma questo non è possibile se il responsabile di un abuso viene demonizzato. Dobbiamo lavorare per la rieducazione, fuori e dentro la Chiesa».

Qual è oggi il rapporto dei giovani con la Chiesa?

«Di fronte alle istituzioni, anche verso la Chiesa, fanno fatica ad avere fiducia. Papa Francesco con il suo stile comunicativo diretto ha attirato la simpatia dei giovani. Il rischio è che i giovani apprezzino papa Francesco ma restino distanti dalla Chiesa, come se ci fosse una distinzione. E allora tutti noi dobbiamo seguire il Papa, parlando con il cuore». —

Maria Chiara Pellizzari

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