La missione del chirurgo in Etiopia

Oderzo, Giordano Chiara prima in Messico poi in Africa: «Qui c’è ancora umanità»
ODERZO. «Poco prima di andare in pensione mi chiamò una clinica privata per offrirmi un posto da primario, mi presi un mese per pensarci e nel frattempo andai in Messico per prestare servizio gratuitamente in un piccolo ospedale gestito da suore, ed è qui che, come San Paolo sulla via di Damasco, compresi che non avrei lavorato più in Italia ma nei Paesi poveri del mondo». Così il chirurgo opitergino Giordano Chiara racconta com’è nata la sua vocazione di medico a servizio del prossimo in Messico, Etiopia e prossimamente in Madagascar, dove sarà il futuro coordinatore di un ospedale fondato da Don Bruno dall’Acqua.


Primario di prima chirurgia al Santa Maria degli Angeli di Pordenone dal 1996 al 2016, Chiara è autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, ha partecipato ad altrettanti convegni internazionali, e ha lavorato in ospedali francesi, tedeschi, spagnoli e belgi, ma è noto in città anche per essere stato uno storico esponente dell’ex PCI, eletto quattro volte in consiglio comunale però sempre dimessosi perché «volevo fare il chirurgo e non il politico» ammette. Nell’aprile 2016, poco dopo la pensione, il chirurgo è partito per un ospedale nell’altopiano del Chiapas in Messico, dove è tornato nel marzo 2017, per due settimane di lavoro intensivo da 12 ore al giorno, con una delegazione coordinata dal dottor Massimo Foglia, ginecologo di una piccola Onlus di Alba, mentre nel maggio, sempre di quest’anno, ha operato per un mese i pazienti della missione gestita dalla suora salesiana Laura Girotto ad Adua in Etiopia, con una delegazione coordinata dal medico Gianpaolo Fasolo di Camposampiero. «Questo servizio mi ha fatto rivivere la mia vocazione originaria di salvare vite umane – spiega Chiara – e mentre in Italia ormai è già tanto che non ti denuncino, in questi contesti le persone ti guardano negli occhi e ti ringraziano, facendoti sentire il senso profondo di essere medico e di fare del bene agli altri».


Non sono poche tuttavia le difficoltà che chi si trova a dover lavorare nelle missioni del Sud del mondo deve fronteggiare. «In Etiopia in un mese abbiamo visitato 1.980 persone e fatto 105 interventi chirurgici ma solo in anestesia locale, perché abbiamo usufruito di uno spazio allestito a mò di prontosoccorso senza le attrezzature per l’anestesia totale – continua il medico - Il triage si svolgeva in strada, sulla soglia della missione, con file da 500 persone e una possibilità di servizio, con le nostre risorse, da 100 pazienti al giorno. Una volta non abbiamo potuto operare una donna con un doppio cancro al seno e l’abbiamo invitata ad andare all’ospedale pubblico, ma lei ci ha risposto, colpendoci molto, “non ho i soldi e andrò a morire nel villaggio”, mentre invece siamo riusciti a salvare la vita a una giovane con un ascesso all’anca di otto centimetri, procuratole da uno sciamano».


In Messico invece sono organizzate campagne di cura intensive di urologia, ginecologia e chirurgia con equipe di personale medico spesso ancora in servizio, che impiega le proprie ferie per fare volontariato ed effettuare 55 interventi, sempre in anestesia locale, e oltre un centinaio di visite in 11 giorni. Chiara, che è anche membro del “Cuamm – medici con l’Africa”, in ottobre sarà in Magascar per monitorare la realizzazione di un ospedale a Mahajanga, ma il suo contributo in Messico e in Etiopia continuerà a darlo perché «sono pochissimi i chirurghi che operano nei Paesi poveri – chiude – e io ho promesso ai miei pazienti che sarei tornato, per ridare loro le mie cure e una rinnovata speranza in una vita migliore».


Elena Grassi


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