Case di comunità, mancano gli infermieri di famiglia: solo 1 su 30 è disponibile
A Treviso, la creazione delle case di comunità e l’introduzione degli infermieri di famiglia sono cruciali per assistere pazienti cronici e anziani, sta rallentando: ecco perché

Doveva essere la figura chiave del servizio sanitario nazionale dopo il Covid, nata per diventare un punto di riferimento nel territorio soprattutto per i pazienti cronici e gli anziani. Ma la marcia ingranata per l’inserimento degli infermieri di famiglia, per ora, è lentissima.
La situazione nella Marca
Secondo i parametri individuati dal ministero della Sanità, nella Marca di infermieri di famiglia ne servirebbero almeno una trentina, da inserire sia nelle case di comunità che stanno per aprire in provincia di Treviso, sia a domicilio, a supporto dei pazienti cronici. Ma al momento, secondo il sindacato di medici e infermieri Smi, ce n’è soltanto uno.
L’Ulss, però, puntualizza: «Li abbiamo appena assunti e li stiamo formando, saranno pronti per quando apriranno gli ambulatori» e, quindi, non prima del 2026. Peccato che il conto alla rovescia per l’inaugurazione della prima casa di comunità, che avverrà tra due mesi e mezzo, si già partito.
Il tema è sempre quello: gli infermieri sono decisamente pochi rispetto al fabbisogno e, soprattutto, sono introvabili. E la situazione è destinata a peggiorare, considerando i lavoratori che a breve andranno in pensione e che, con una percentuale molto alta, non verranno rimpiazzati.
Il Veneto, tra l’altro, è stata la prima regione in Italia nel 2023 a dotarsi dell’ Ifoc, l’infermiere di famiglia, ideato proprio per la presa in carico delle cronicità, di quei pazienti che non aderiscono ai trattamenti, che sono incapaci di auto curarsi, con età pari o superiore a 65 anni.
«È stato un flop», tuona Salvatore Cauchi, segretario provinciale Smi, «Nel distretto sanitario di Treviso dovrebbero essercene almeno 20, considerando uno ogni 50 mila abitanti. Invece a Treviso ora ce n’è solo uno. Non si tratta di semplici infermieri, devono avere una qualifica particolare. Già sono pochi in generale, perché uno dovrebbe fare questo percorso? Bisogna motivare le persone. Se non ci sono loro, anche la riforma sanitaria del territorio con le case di comunità che apriranno a giugno sarà un flop. La situazione è drammatica».
Il direttore Benazzi
Il direttore generale dell’Ulss 2, Francesco Benazzi, blocca la polemica e rassicura: «Sono già operativi gli infermieri Adi, che si occupano di assistenza domiciliare, e poi ne abbiamo appena assunti 18 che, in attesa di essere formati dalla Regione per diventare infermieri di famiglia, lavorano all’interno di ambulatori. Saranno figure plurivalenti e lavoreranno sia nelle case di comunità che a domicilio per monitorare i pazienti. Una volta partito il corso della Regione, andremo a regime e a marzo 2026 gli infermieri di famiglia saranno una trentina. Li inseriremo in concomitanza con l’apertura delle case di comunità».
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