Il Montello “restituito”, dall’ex polveriera nasce il bosco vissuto

Fondazione Benetton presenta al consiglio comunale un progetto per rendere fruibile l'area
il gruppo di professionisti della Fondazione Benetton esplora l'area della polveriera
il gruppo di professionisti della Fondazione Benetton esplora l'area della polveriera

VOLPAGO DEL MONTELLO. Una “città di alberi” fatta di pieni e di vuoti, di vegetazione, radure, spazi, percorsi per l’uomo. Ma anche di bunker, ricoveri, ambienti adatti alla conservazione di armi e munizioni: spazio per una guerra attesa, e mai scoppiata, per la quale bisognava prepararsi. In quegli stessi luoghi, oggi assurti a simbolo, che nei decenni precedenti furono teatro di un conflitto vissuto corpo a corpo, tremendo, sanguinoso – la Prima guerra mondiale – che ne ha mutato l’identità.

È il Montello: luogo di storia e di natura, di vita e anche di morte. L’ex polveriera di Volpago torna all’uso pubblico, attraverso la cessione dal Demanio al Comune, dopo 50 anni di “sottrazione” militare. Sottrazione intesa come esclusione degli abitanti all’uso, per uno spazio grande un chilometro per un chilometro. Un quadrato di Montello nel Montello, dimenticato forzatamente che ora torna alla fruizione possibile di tutti. Ma come? Se ne parlerà venerdì 23 ottobre alle 18 nell’auditorium comunale di Volpago, Comune nel quale ricade quel quadrato di bosco, in un incontro voluto dall’amministrazione, al quale sono invitati soprattutto i cittadini.

La Fondazione Benetton Studi e Ricerche presenterà, nel corso di una seduta di consiglio comunale dedicata, riflessioni e un percorso di lavoro maturati durante un denso workshop internazionale di studio sul campo. Non soluzioni finite, dunque, ma piuttosto un’indicazione di metodo che possa preludere alla graduale riappropriazione del luogo. «La domanda è quale forma vogliamo mantenere o costruire - spiega l’architetto paesaggista di Fondazione, Simonetta Zanon, che ha coordinato il workshop insieme al professor Luigi Latini - non si trattava di elaborare un progetto finito, ma di avviare un processo di studio per arrivare a delle ipotesi di lavoro che poi toccherà al Comune gestire con i cittadini». Per due settimane lo scorso giugno 14 giovani studiosi – architetti, agronomi, urbanisti, biologi, geografi – provenienti da tutta Italia, guidati dai professori Thilo Folkerts, Anna Lambertini e Luigi Latini, hanno iniziato un viaggio esplorativo nello spazio del’ex polveriera.

Dapprima un viaggio conoscitivo di studio, poi vera esplorazione del luogo, tra radure, bunker, edifici militari, poi ancora vegetazione: quella stessa che la Serenissima utilizzava per ricavare il legname utile alla costruzione delle sue imbarcazioni. Il Montello bosco della Serenissima, poi luogo di vita e di lavoro profondamente legato all’economia locale, più avanti “bosco alle porte di casa”, polmone verde oltre le mura di un territorio in fase di crescente urbanizzazione. E luogo insanguinato dalla guerra, muro difensivo fatto di natura, baluardo di salvaguardia di territorio e identità dall’invasore straniero. Infine spazio chiuso, cristallizzato nell’attesa di una guerra mai scoppiata. Ora che quello spazio torna agibile, dopo 50 anni, il filo della memoria va dipanato in vista di qualsivoglia progetto. «I percorsi precedenti alla fase militare sono ancora leggibili – spiega Zanon – anche se sono stati interrotti, sono quindi recuperabili in pieno. Nel percorso di studio che abbiamo compiuto, divisi in tre gruppi di lavoro, abbiamo cercato prima di tutto di mettere insieme il materiale esistente su quell’area e sul Montelo: si tratta di numerosi studi e di cartografie già esistenti. Oltre agli amministratori, nostri primi interlocutori, abbiamo poi incontrato gli abitanti, compresi coloro che risiedevano nell’area quando arrivò l’ordine di sgomberare perché bisognava chiudere e farne un grande deposito per le munizioni. Il confronto si è allargato ad alcune associazioni attive nel territorio, ad alcuni politici interessati».

Il modello che ne emerge è quello del bosco vissuto, «luogo di relax dove poter coltivare il rapporto con la natura. Dopo 50 anni di dimenticanza - aggiunge l’architetto Zanon - i cittadini si sono mobilitati alla notizia che l’ex polveriera sarebbe tornata al Comune, dimostrando un profondo interesse». Una mobilitazione pubblica, soprattutto per il tramite di alcune associazioni locali, nel desiderio forte di una riappropriazione che necessità, però, di coordinate. Quali? «La riapertura dell’ex polveriera può avvenire per esempio attraverso il governo del bosco che va tenuto nell’alternanza di radure, spazi aperti, gruppi arborei - spiega Zanon - ma non è un fatto scontato perché si potrebbe optare anche per la crescita totalmente spontanea». In vista di un progetto per il riutilizzo, i tre gruppi di lavoro di Fondazione hanno individuato alcuni elementi fondanti dell’ex polveriera, «come per esempio una bella zona umida con dei castagni monumentali, punti diversi caratterizzati da vegetazione». Poi ci sono i percorsi precedenti alla fase miliare. E infine gli elementi introdotti dall’esercito: un’ex caserma, i bunker, le riservette, i muri di contenimento, le recinzioni, le torrette, i luoghi di controllo. Edifici di scarso valore e tuttavia segni, elementi che testimoniano di un passaggio storico. Abbatterli, conservarli, modificarli? Aprirli alla fruizione o chiuderli così come è conclusa anche la loro funzione? Qui gli esiti del lavoro dei gruppo di lavoro si fanno più concreti. «Una prima misura - si legge nei documenti - può essere costruire insieme, in vista di un’apertura verso la nuova collettività, un sentiero “rosso Montello” che colleghi il paese di Volpago alla polveriera».

Il ritorno all’uso pubblico coincide necessariamente con l’apertura che è anche abbattimento di confini, muri, recinzioni. Un abbattimento graduale. «Un’altra misura possibile – si legge ancora nel documento che verrà condiviso con amministratori e cittadini - vuole sfruttare la situazione topografica della riservetta 49 come occasione per creare un’apertura. Partendo dalle vestigia di questa si apre il recinto delle mura di contenimento per continuare con una passerella leggera». Si accenna anche alla possibilità di rimuovere, dai manufatti militari, coperture e tamponamenti, lasciando vivere gli scheletri, «affinché come sculture custodiscano la memoria del luogo».

Ecco che, quindi, si libera la possibilità di reinventare lo spazio con elementi nuovi. Tra memoria e natura, ripercorsi gli scalini della storia, c’è una pagina nuova da scrivere. Qui vi sono poste le basi.

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