Il monte sacro di Paul Cézanne

Saint-Victoire dipinto oltre quaranta volte

di MARCO GOLDIN

Poi si fanno poche decine di chilometri da Saint-Rémy, in una prima notte, e si arriva correndo lungo una strada stretta, al di là della quale si sente un bosco, alberi che si allacciano alla notte stessa. Correndo verso oriente, verso una montagna sacra, che nella notte non si può vedere, ma solo sentirne il fiato misterioso, la lunga scia del vento quando il vento viene. E la mattina ci si alza ancora con il cielo azzurro e tutta la luce che non scivola sulla natura, ma vi s'imprime, anzi si intride in ogni suo angolo. E affacciati alla finestra si cerca subito lei, la montagna, vuoi sapere da quale parte guardare, da quale parte essa emerga improvvisamente dal verde dei prati. Ecco, l'ho trovata, sono venuto fin qui per conoscerla.

Con gli occhi di Van Gogh davanti all’acqua increspata

Cézanne ha dipinto la montagna Sainte-Victoire, appena fuori Aix-en-Provence, per oltre quaranta volte, dal principio degli anni settanta nell'Ottocento fino ai giorni estremi della sua vita, proprio in queste settimane di ottobre, nel 1906. E altre decine di volte l'ha raffigurata in disegni e acquerelli meravigliosi, con un piccolo alito di colore strascicato, come un soffio. Quel mese di ottobre del 1906 è il frutto finale della sua vita, tutto tramato dalle lettere meravigliose, quasi profetiche, al figlio Paul: "Ho giurato a me stesso di morire dipingendo", e così avverrà, quando lo troveranno tramortito dopo avere dipinto tutto il giorno sotto la pioggia, mentre la salute ormai lo abbandonava. Lui, il pittore dal quale quasi tutto il XX secolo dipende, immenso e assoluto, scriveva al figlio con l'umiltà che non si può nemmeno immaginare in un gigante dell'intera storia della pittura: "Mi sembra di fare dei lenti progressi davanti alla natura, e solo spostandomi un po' più a destra o un po' più a sinistra trovo sempre nuovi motivi". Così oggi, pieno di emozione, ho deciso di salire fino alla cima della montagna sacra, a mille metri di quota. Immerso nella sua natura, percorrendo i suoi sentieri, e qui tutto parla ancora di lui. Il cielo azzurro come uno schiocco, le terre rosse che ha tante volte dipinto, i grandi pini marittimi a chioma larga, le rocce bianche sparse di muschi e verdi. Ma soprattutto lei, la montagna del destino. Abbiamo fatto un giro largo, su un sentiero che ci ha dapprima condotto sull'altopiano di Cengle, dove tante volte aveva posto il cavalletto per dipingerla, quella montagna. Fino al barrage di Bimont, e poi su per il crinale lungo il sentiero Imoucha. La montagna ci si offriva da ogni lato diversa, sempre diversa, e dentro di me scorrevano le immagini di tutti i suoi quadri che da ogni punto l'avevano ripresa. Il cammino è stato lungo, perché mi sentivo come in pellegrinaggio, e anche se normalmente mi piace camminare con passo veloce in salita in montagna, questa volta mi sono preso tutta la giornata. E dalla cima della Sainte-Victoire, l'immenso sotto di noi, il gorgo muto della luce. Poi la discesa è stata per un sentiero impervio, dal Pas de l'Escalette, dentro la valle che ci ha condotti al rifugio nel quale si riparava dal cattivo tempo mentre dipingeva. E poi giù ancora, fino a Les Harmelins e L'Aurigon. Infine il piccolo villaggio di Le Tholonet, dove mentre passo e mi fermo come per sostare in un santuario nella natura, si accendono le luci sotto i grandi platani e poche persone giocano a bocce sulla terra. Poco più avanti, ai limiti della grande boscaglia prima che diventi notte, si stacca Château-Noir, che Cézanne ha guardato prima di addormentarsi per sempre. Mi siedo ai limiti del prato e penso che per il momento il viaggio può finire. È notte su questa terra.

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