Il fuggitivo si consegna alla polizia «Ho sparato soltanto per paura»

«Ho sparato per paura, non per uccidere». Così Branko Durdevic, 36 anni, in carcere per il tentato omicidio dello zio Joco, 53 anni, in fin di vita all’ospedale, s’è difeso davanti al pubblico ministero Gabriella Cama, durante l’interrogatorio di ieri pomeriggio, dopo che la notte precedente, poco prima delle 23, s’era consegnato alla polizia, che aveva individuato la zona dove si nascondeva e l’aveva cinturata per impedire che potesse scappare. Branko, ora rinchiuso in carcere a Venezia, ha confermato che alla base della faida ingaggiata con la famiglia di Joco ci sono motivi passionali, legati all’ex moglie (ora assieme a Branko) di Riccardo, figlio di Joco, e una questione di affido dei figli minori della coppia separata.
la resa del fuggitivo
Tutto ha inizio nel pomeriggio di lunedì quando, poco dopo le 14.40, davanti al civico 15 di Borgo Capriolo, ai confini tra Treviso e Ponzano, arriva un’Alfa 147, grigio metallizzata, con a bordo Joco Durdevic, due figlie e un genero. Se non è una spedizione punitiva, certo non è una visita di cortesia nei confronti di Branko che abita lì ed è nipote di Joco, con un passato di rapine ai danni di anziani e di “soggiorni” in carcere. Alla loro vista Branko scappa al primo piano della sua abitazione, prende una pistola e dal terrazzo spara due colpi ad indirizzo di Joco. Un proiettile colpisce il 53enne alla testa, che cade a terra, accanto ad un’auto di un residente della zona. È a quel punto che Branko, dopo essersi disfatto della pistola, scappa nei campi di Borgo Capriolo, facendo perdere le sue tracce. Mentre Joco viene ricoverato in condizioni disperate all’ospedale di Treviso, la polizia dà la caccia a Branko Durdevic. La fuga, nei campi attorno a Santa Bona, dura alcune ore. Il fuggitivo, infatti, compie un errore madornale portando con sè il cellulare. È grazie ai segnali del telefono ai ripetitori che gli investigatori della questura riescono a localizzare la zona dove Branko s’è nascosto e a cinturarla in modo da non render possibile la fuga. Branko è un topo in trappola. Poco prima delle 23 decide di uscire allo scoperto e consegnarsi alla polizia. Per una questione di opportunità (Riccardo, figlio di Joko, si trova a Santa Bona), Branko viene portato nel carcere di Venezia.
l’interrogatorio
Nel frattempo, Branko, attualmente sottoposto a fermo, decide di affrontare l’interrogatorio davanti al pubblico ministero Gabriella Cama, titolare dell’inchiesta. E a raccontare la sua verità. Per un paio d’ore, ieri, in carcere a Venezia, l’uomo, accusato del tentato omicidio dello zio (assistito dall’avvocato Giacomo Michieli dello studio MFC), ha spiegato i motivi che, lunedì, lo hanno armato di pistola. Stando a quanto s’è appreso, la faida tra le due famiglie Rom va avanti da alcuni anni. E Branko lo avrebbe spiegato ieri al pubblico ministero. Prima i motivi sentimentali che hanno indotto la moglie di Riccardo, figlio di Joco, a legarsi a Branko e poi i figli della coppia separata, divisi tra nonno da una parte e mamma dall’altra, hanno deteriorato i rapporti, fino a quando, lunedì pomeriggio, non c’è stata la sparatoria che ha ridotto Joco in fin di vita. Branko avrebbe più volte denunciato di essersi sentito in pericolo e di temere ripercussioni. Per questo, lunedì, quando s’è ritrovato lo zio e i suoi familiari di fronte a casa, ha deciso di sparare: «Avevo paura, non volevo sparare per uccidere».
il giallo della pistola
Quando lunedì notte Branko Durdevic s’è consegnato alla polizia con sè non aveva la pistola. Evidentemente l’aveva nascosta in un campo durante la fuga o, molto più probabilmente, in casa. Gli agenti della squadra mobile sono infatti tornati ieri nella casa al civico 15 di Borgo Capriolo per metterla al setaccio e non è escluso che sia stata trovata proprio nell’abitazione del Rom in carcere a Venezia. Il suo legale, l’avvocato Michieli si limita a dire: «Non rilascio dichiarazioni: la questione è delicata per rispetto del mio cliente lasciamo che le indagini facciano il loro corso». Ora spetta al pubblico ministero trasformare il fermo in misura cautelare. Una decisione che potrebbe arrivare entro la giornata di oggi. Poi ci saranno cinque giorni di tempo per fissare l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice delle indagini preliminari». —
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