Il frappè, il mitico Biffi e una vita da “Alfredo” Addio a “Jean” Claudio pezzo di storia cittadina

Di Matteo aveva 70 anni, morto per un tumore con cui lottava da mesi Sabato l’ultima chiamata alla famiglia Filippini: «Volevo salutarvi» 
F.d.w.

il lutto

Fosse dietro il banco, tra i tavoli, sotto il loggiato del Calmaggiore, le arcate di palazzo dei Trecento o gli arredi in legno di Alfredo, Claudio Di Matteo (o “Jean Claude” per alcuni) aveva lo stile impeccabile di chi sapeva stare tra la gente. Un animale sociale, uno che ne aveva viste e fatte tante, e ancor più ne avrebbe potute raccontare parlando di una Treviso che aveva visto crescere, arricchire, a volte anche esagerare, sempre rimanendo al centro di quella terrazza privilegiata per la società trevigiana che è la ristorazione. È morto ieri, avrebbe compiuto 71 anni il 14 febbraio, giorno di San Valentino, ma il tumore con cui lottava da oltre un anno gli ha rubato la torta dal vassoio. L’avrebbe vista sicuramente così lui che di ironia ne aveva, come anche tanto senso del reale, del valore delle persone, degli affetti. Non a caso l’ultima telefonata l’ha fatta sabato a quella che era ormai da anni la sua seconda famiglia: i “ragazzi” di Alfredo, i figli di Arturo Filippini con cui aveva iniziato la sua vita tra i tavoli a soli 14 anni. «Volevo salutarvi» ha detto l’altra sera, come sapesse che qualcuno stava sparecchiando la sua vita. «Abbiamo perso un muro portante della nostra famiglia, quasi un vice papà» lo ricordava ieri Martina Filippini, «noi oggi lavoriamo e cerchiamo di farlo con il sorriso perché se non lo facessimo ci rimprovererebbe e lo sappiamo. Treviso perde una colonna». Aveva iniziato con Arturo, poi con la moglie Loretta aveva aperto il mitico Bar Frappè in Calmaggiore diventato un punto di ritrovo per una generazione. Poi fu la volta del Biffi, altro pezzo di storia, altro baricentro della trevigianità di cui custodiva ricette e segreti. Poi il ritorno in casa Filippini di cui era «come un quarto figlio». Lì ha assistito al passaggio di testimone tra Arturo e Nicola, Martina, Michela. «Era in pensione ma passava tutti i giorni per un saluto, vedere come stavamo, se andava tutto bene» prosegue Martina Filippini, «lui era il ristorante Alfredo, era un pezzo di noi e un pezzo della piazza». Lascia la moglie Loretta, i figli Simona e Alessandro, la sua San Giuseppe e una città vissuta nella notte “dopo chiusura”, come nella quotidianità di giacche e cravatte, o blue jeans.—



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