Il dramma di una donna di Treviso: «Nella tac non hanno visto il tumore, sto morendo nell’indifferenza dell’Usl2»

TREVISO. «Non mi resta molto tempo, ho una metastasi al cervello». Il racconto di G., trevigiana di 74 anni, toglie letteralmente il fiato: la diagnosi dei medici è impietosa e lei si lascia andare a uno sfogo che non sembra prendersela con l’azienda sanitaria, ma invitare i medici a prestare sempre la massima attenzione all’esame del paziente senza dimenticare il calore umano. Sostiene di aver avuto una diagnosi tardiva e questa è la sua storia.
L'ANTEFATTO. Una lesione maligna al rene che non viene diagnosticata subito dal medico e viene notata per caso durante un intervento all'organo per togliere un nodulo. Poi dal Ca' Foncello arriva un secondo invito a ripetere l'esame per via di un sospetto. La seconda Tac conferma: c'è un'altra lesione al rene e va asportata al più presto. Ma intanto tra i due esami sono passati cinque mesi, un tempo lunghissimo per una donna malata di tumore.
Come se non bastasse, dal momento dell'esito al giorno del secondo intervento passano altri due mesi. Il risultato è che in questi sette mesi il nodulo passa da 1 a 2,5 centimetri. «Nei giorni di attesa dell'operazione al rene destro mi viene un sospetto e faccio controllare la prima Tac. Solo a quel punto dall'Usl mi confermano che la lesione sinistra era già presente al momento del primo esame» racconta la signora G. Una doccia fredda e mille dubbi. Uno su tutti: «E se non fossi stata io a chiedere, qualcuno avrebbe ammesso le sue responsabilità?».
SEGNALAZIONE ALL'USL. Nonostante tutto la donna non si perde d'animo e il 27 settembre scrive una email alla direzione dell'azienda sanitaria trevigiana per segnalare il grave episodio. Il 18 ottobre il primario di Radiologia chiama a casa la signora. «Cercava di tranquillizzarmi dicendomi che la lesione era piccola e benigna. A quel punto chiedo che mi venga refertata come tale e lui mi chiede tempo per controllare con i suoi collaboratori.
Cinque minuti dopo mi richiama e mi dice che purtroppo la lesione non è stata vista e che se voglio posso chiedere un risarcimento danni. Sono rimasta esterrefatta» aggiunge la donna. Arriva finalmente il giorno dell'intervento, le viene asportato il rene intaccato dal tumore. La donna si riprende, ma in sospeso resta sempre la risposta alla lettera inviata all'Urp il 27 settembre. «A distanza di due mesi, il 27 novembre, nessuno si era ancora degnato di dire “A”, indifferenza totale».
IL SOLLECITO. Poi l'11 dicembre è la signora a presentarsi fisicamente all'Urp del Ca' Foncello. Chiede spiegazioni sul suo reclamo e le viene consegnato frettolosamente un foglio con data scritta a mano 31/11/2018, peccato che il 31 novembre non esista sul calendario. «Oltre al danno per la mia salute anche la beffa» aggiunge la donna. Il documento è firmato dal direttore generale dell'Usl 2 Francesco Benazzi.
«Gentile signora», «il nodulo segnalato all'indagine Tac del 16/08/2018 era retrospettivamente riconoscibile all'indagine Tac del 6/04/ 2018». Il dg parla di «criticità emersa rispetto alla refertazione» e prosegue con queste parole.
«Il ritardo di identificazione della lesione non incide nella successiva gestione, che ne prevede la rimozione, ma è stato oggetto di approfondimento tra i radiologi. Le esprimiamo le nostre scuse per quanto accaduto e la ringraziamo per la testimonianza offerta che ha consentito di rivalutare il servizio svolto».
In questa storia per la signora G. non è solo una questione di mancanze, sono soprattutto i modi a pesare come macigni, l'atteggiamento di scarsa attenzione che l'ha fatta sentire da sola con la sua malattia. «Mi sono sentita praticamente presa in giro un'altra volta, senza un briciolo di umanità. Mi sono sentita una stupida, credevo che qualche responsabile volesse guardarmi in faccia per chiedermi scusa, continuavo a essere convinta di questo».
L'INCONTRO. Dopo tre richieste, il 27 marzo 2019 la paziente viene ricevuta dal direttore sanitario dell'Usl 2 Marco Cadamuro Morgante. «Mi dice che il radiologo è stato richiamato e che avevo la facoltà di chiedere il risarcimento danni». Una circostanza che il dottor Morgante nega. La signora sgrana nuovamente gli occhi.
«Mi sono limitata a dire: non ho mai cercato di mercificare la mia salute, mi aspettavo qualcos'altro da voi, maggiore attenzione e vicinanza». Nel frattempo la signora G. aspetta da febbraio la visita oncologica di controllo ma nessuno la chiama. Lo scorso aprile ha un malore e durante il ricovero scopre di avere una metastasi al cervello, dopo la degenza ancora nessuna chiamata per la visita oncologica. Lo scorso 23 maggio è lei a chiamare in reparto per avere notizie sulla visita.
«Mi dicono che se non ero stata ancora chiamata era perché il medico non aveva ritenuto di farlo, e aggiungono che durante il mio ricovero era stata chiesta una consulenza di cui non so nulla. Non è un mio diritto sapere?» si chiede la signora G.
«Il tumore che mi tormenta è avanzato ha preso la tiroide, il polmone e ora il cervello. Quella lesione non vista mi ha fregato di brutto. Non dico che sia tutta colpa dei medici, molti di loro mi stanno a fianco con umanità e competenza, ma se anche gli “altri” avessero fatto meglio il loro lavoro forse avrebbero potuto darmi qualche mese in più di vita. Serva da monito a qualcuno, a chi verrà dopo di me».
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