«Il Covid colpisce anche il cuore, una sezione ad hoc per salvare i malati trevigiani»

Il primario di Cardiologia Carlo Cernetti segue i pazienti positivi che a causa delle gravi polmoniti subiscono anche danni cardiaci  
Il primario del reparto di Cardiologia Carlo Cernetti
Il primario del reparto di Cardiologia Carlo Cernetti

TREVISO. Il Covid 19 non attacca brutalmente solo i polmoni: la sua azione distruttiva coinvolge anche il cuore generando, in una parte dei malati, sintomi simili all’infarto. Per quella parte di pazienti – dai 5 agli 8 ogni cento ricoverati con polmonite da Covid – servono anche le cure dei cardiologi coordinati dal primario di Treviso e Castelfranco, Carlo Cernetti. L’azienda sanitaria ha aperto una sezione speciale nell’area intensiva e semintensiva del reparto di Malattie Infettive, con 10 letti, dove opera un’équipe multisciplinare, unione di specialismi diversi per combattere un nemico difficile.

Il Covid 19 colpisce anche il cuore, quali danni provoca?

«Ogni infezione virale può dare origine a un processo che si chiama miocardite: il virus genera danno diretto sulla cellula del miocardio. Sono le situazioni classiche che vediamo ogni anno in corso di influenza stagionale. Osserviamo miocarditi fulminanti perché il virus attacca e distrugge le cellule miocardiche replicandosi all’interno della cellula. Questo processo per il Sars Cov 2 non c’è».

Ci sono studi in merito?

«La professoressa Cristina Basso (cattedra di Patologia cardiovascolare di Padova) ha condotto un lavoro che è stato pubblicato: ha dimostrato che il danno generato dal Covid, a differenza di altri virus, è un danno indiretto: il virus attiva l’infiammazione e genera un danno al cuore, non perché distrugge il miocardiocita (la cellula, ndr), ma perché innesca una risposta infiammatoria che genera un danno diffuso del cuore. È il nostro sistema immunitario che cerca di distruggere il virus, così come fa con il polmone. Quando c’è una polmonite devastante, come quella generata da Sars, il ventricolo destro viene fortemente attaccato e soffre».

Quanti sono questi pazienti?

«Dai 5 agli 8 pazienti ogni cento con polmonite Covid. Settimanalmente abbiamo più di due pazienti ricoverati per polmonite Covid che arrivano nel mio reparto per problemi insorti al cuore. E poi tra i 6 e i 10 pazienti Covid positivi che arrivano per problemi di cuore».

Che età hanno i pazienti con polmonite Covid con problemi di cuore correlati?

«Tra i 40 e gli 80 anni, la fascia più numerosa va dai 65 agli 85 anni»

Come li gestite?

«Abbiamo creato una sezione speciale nell’area intensiva e semintensiva posta al primo piano del reparto di Malattie Infettive: una decina di letti dove il paziente viene monitorato da un team multidisciplinare. Ho ceduto due cardiologi che lavorano lì adesso insieme ai pneumologi e ad altre figure professionali. Si fa l’elettrocradiogramma e associamo dei marcatori del sangue che ci dicono se c’è sofferenza cardiaca acuta in atto. In base al livello di compromissione stiliamo un programma adeguato per ciascuno».

Come avete organizzato il reparto per gestire sia i pazienti Covid che gli altri?». «Nella Cardiologie che dirigo abbiamo diviso l’area intensiva e le degenze. Ci sono due percorsi separati: uno Covid e l’altro non Covid ben distinti più una zona di isolamento che serve per capire se il paziente ha l’infezione o no. Stiamo trattando anche i pazienti che entrano per infarto anche se scopriamo dopo il tampone che hanno il Covid: facciamo pacemaker e impianto di valvole in malati positivi che non possiamo fare aspettare perché non sopravviverebbero. Ci sono stanze dedicate esclusivamente a loro senza contatti con altri».

Come stanno questi malati danneggiati anche al livello cardiaco?

«Se la cellula, il miocita, è integra il cuore può essere temporaneamente messo fuori uso ma poi recupera se il paziente esce dall’infezione. Con le miocarditi da influenza è il danno invece può essere irreversibile. Tanto è vero che ci sono giovani che finiscono anche in trapianto. Per non parlare degli anziani. Quest’anno l’influenza potrebbe essere attenuata dalle misure di distanziamento e poi abbiamo avuto una percentuale più alta di anziani che si sono vaccinati. È anche l’augurio che noi sanitari ci facciamo. Quest’anno intanto vediamo molti meno pazienti per virosi non Covid».

Le conseguenze delle polmoniti Covid in molti casi permangono anche dopo. È così anche per i danni cardiaci?

«Si muore di Covid per insufficienza respiratoria da polmonite. Il cuore si ferma quando i polmoni sono distrutti e neanche la ventilazione meccanica serve più. Il cuore non riceve più ossigeno e si ferma. Il vero problema è questo. Quando succede così anche gli altri organi cominciano a funzionare male. Ma se il paziente sopravvive, il cuore torna alla sua funzione. A meno che il malato ricoverato per Covid non avesse una cardiopatia grave già prima. Sono poi i malati a maggiore rischio. Ma una volta guariti il cuore torna a funzionare bene come prima».

Come sta andando nel suo reparto in questa fase di pressione sull’ospedale e di riconversione dei reparti?

«Noi riusciamo a non accumulare ritardi nelle prestazioni con grande sforzo da parte del personale, anche se siamo a truppe ridotte anche a causa del contagio. Lo stiamo facendo bloccando ferie e congedi. Non abbiamo liste d’attesa. Stiamo facendo interventi di angioplastica e impianti di valvola attraverso le arterie delle gambe nei pazienti più anziani, quando altri tipi di intervento possono essere pericolosi. Ci sono patologie come la stenosi aortica sintomatica che ha mortalità altissima: abbiamo continuato ad operare i pazienti nei tempi adeguati. Lo stesso per quanto riguarda il resto. Facciamo 1.000 interventi all’anno di pacemaker, 2.000 di angioplastica coronariche, 200 interventi alle valvole coronariche e altro. Fra Treviso e Castelfranco facciamo 5.000 interventi all’anno, numeri che salgono se aggiungiamo le diagnosi. Con la Cardiologia interventistica non c’è bisogno di anestesista e rianimazione. Garantiamo sempre tutti gli interventi».

Avete avuto problemi di contagio tra il personale?

«Abbiamo avuto qualche settimana difficile, soprattutto per infermieri e operatori socio sanitari che sono a più stretto contatto con i pazienti, ma anche tra i colleghi. Adesso stanno rientrando tutti». —



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