I genitori: «La Curia aveva sottovalutato Telsen Sao»

Da sinistra: Giuseppe e Silvia Pedron con Paola Zamuner
Da sinistra: Giuseppe e Silvia Pedron con Paola Zamuner
 
ODERZO.
«Annalaura? Non condividemmo la sua scelta di aderire a Telsen Sao, ma le nostre porte rimasero sempre aperte per lei. Eravamo pronti ad accoglierla, anche nei grandi sbagli. Dopo il duello legale sulla perizia psichiatrica con esito favorevole per l'imputato David Rosset, è stata la volta dei genitori e della sorella della baby sitter uccisa a 21 anni il 2 febbraio 1988 a Pordenone. La famiglia è stata chiamata a deporre: tre quarti dora ciascuno per il padre Giuseppe Pedron, la sorella Silvia e la madre Paola Zamuner, per raccontare, in sostanza, come Annalaura si avvicinò a Telsen Sao. «Brava a scuola, al liceo classico di Pordenone, amava la scrittura e la lettura tanto che da grande intendeva fare la giornalista». Un'amica (prima scettica per l'adesione di sua madre, poi entusiasta per la sua presunta guarigione) l'avvicinò a Telsen Sao e lei trovò questa esperienza, fino ad allora solo raccontata, coinvolgente. I genitori di Annalaura, che apprendevano con preoccupazione dell'attività del movimento, cercarono di dissuaderla. Andarono anche dall'allora vescovo Abramo Freschi (che poi avrebbe proibito i funerali cattolici della giovane per la quale fu celebrata una messa nel duomo di Oderzo gremito a sepoltura avvenuta). Una sorgente setta? Lui rispose con un colpo sulla spalla. La Curia, insomma, non aveva ponderato il fenomeno Telsen Sao. Intanto Annalaura aveva 16 anni quando entrò in Telsen Sao. Usciva da scuola e si recava in sede: «Sapevamo che andava, ma non cosa faceva», hanno detto i genitori. Preoccupati, perché in casa era «chiusa e non riferiva di quanto avveniva negli incontri quotidiani, ma in famiglia era sempre più ostile». Consapevoli del rischio di «perdere» una figlia, scelsero il dialogo: «Non convidiamo - le dissero - ma ricordati che siamo sempre pronti ad accoglierti, anche nei grandi sbagli». Terminate le superiori Annalaura non proseguì l'Università: «Nessuno, dentro la setta, proseguiva gli studi, è stato detto lunedì. Divenuta maggiorenne, Annalaura si mise alla ricerca di un lavoro, voleva essere indipendente, e i genitori decisero di lasciarla libera, di rispettare le sue scelte. Allora lei cominciò a fidarsi, a non vedere la famiglia come un ostacolo nelle sue seppure non condivise scelte. Un entusiasmo stroncato il 2 febbraio 1988. Da quel giorno la famiglia Pedron cerca e chiede giustizia. «E' stata l'unica a pagare con la vita», ha ricordato la mamma Paola che col marito e la figlia Silvia partecipa a tutte le udienze. «Ci sarò fino all'ultima udienza». La sorella Silvia tira le somme di un dibattimento apertosi 22 anni dopo il delitto: «Se non ci fossimo noi, questa vicenda scorrerebbe in maniera apatica. Percepisco l'assenza di coinvolgimento emotivo, forse ci si dimentica che è morta una ragazza». (e.l.)

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