I fondatori della Liga e l’identità perduta. «Ma il vero traditore dei veneti è Bossi»

Vi ricordate “Forza Etna” scritto a caratteri cubitali sulle arcate del sottopasso ferroviario tra Spresiano e Ponte della Priula? Davvero tanta acqua è passata sotto i ponti; ha cancellato proprio tutto. Ha sommerso anche la memoria di quelle lettere ai giornali in cui si invitavano i veneti a non donare sangue ai “terroni” per evitare la contaminazione della specie.
La Lega volta pagina. Resterà la Liga Veneta? Fondata politicamente il 9 dicembre 1979 a Recoaro Terme presso il Gran Cafè Municipal, si è costituita formalmente il 16 gennaio 1980 a Padova, presso lo studio del notaio Giovanni Battista Todeschini, per iniziativa di 14 militanti, da Achille Tramarin, docente liceale di Storia dell'Arte di Padova, ai quattro trevigiani Marilena Marin e Luigi Fabris, di Conegliano, Luigi Ghizzo, di Farra, Guido Marson di Gorgo al Monticano?
«Dopo il tradimento di Bossi, il Veneto non ne ha bisogno di un secondo, con Salvini» risponde Franco Rocchetta, di fatto l’ideologo e il fondatore della Liga. «La nostra “‘nation” sfida ogni avversità, politica e storica – aggiunge -, Bossi si era illuso di cancellarla, di asservirci allo Stato di Milano, quello cisalpino. Se Salvini si comporterà allo stesso modo, farà la medesima fine».
Ma il tradimento di Salvini è già nei fatti, a parere di tanti trevigiani, dal momento che comprende altri popoli, come quelli meridionali, che nulla avrebbero a che vedere con i veneti. «Perché noi – interrompe Rocchetta – abbiamo qualcosa a che vedere con i lombardi? Per non lasciare l’interrogativo in sospeso, l’ex dirigente della Liga, che è stato anche sottosegretario agli esteri, cita i risultati del referendum per l’autonomia del 2017: solo Brescia e Bergamo hanno registrato la stessa percentuale di consenso del Veneto, il resto della Lombardia è rimasto molto al di sotto».
Quando ritornò da un’esperienza di missionario laico nel Sud America, Luigi Fabris si dedicò alla riscoperta delle radici venete e alla loro valorizzazione. «Solo in chiave culturale pensai ad un movimento, poi altri insistettero per portare la sfida sul piano politico – afferma - ma per me resta sempre aperto lo scenario culturale: dobbiamo ancora prendere consapevolezza di ciò che siamo stati e di ciò che dobbiamo essere».
Ma Salvini, facendo il partito “talian” porta il Veneto alla contaminazione. «E’ vero e questo ci preoccupa – riconosce l’ex senatore, il primo del Carroccio, Graziano Girardi, di Farra di Soligo -. E’ anche vero, però, che senza i voti l’autonomia non si materializza. Ed è almeno questa che vogliamo».
Rocchetta se ha un timore è che a tradire gli ideali della Liga siano gli stessi lighisti magari convertiti e che per questo sono disposti a rinunciare alle prerogative più identitarie. «Tre anni fa parlai con Salvini al telefono e gli dissi se i suoi, trevigiani o veneti, gli avevano detto che non si dice ‘il Piave’, perché italianizzato, ma ‘la Piave’. Mi rispose che nessuno gliela aveva segnalato. A dimostrazione che la cultura e la storia non interessano neppure a noi veneti».
Questa eredità, dunque, sarà presa in mano da movimenti nuovi, come il “Partito dei veneti”? «Sarà credibile – risponde Rocchetta – che non sia la mera sommatoria degli sconfitti, degli esclusi, ma che si metta a studiare, che sia disposto a sacrificarsi e che si attrezzi di un programma non posticcio, composto di slogan, ma di una vera e propria strategia politica».
Anche in termini di autonomia, di federalismo. «Perché, non dimentichiamolo, il primo a tradire le nostre aspettative federaliste è stato proprio Bossi. Il quale, fra l’altro, ha potuto avviarsi contando sui nostri soldi», conclude Rocchetta. —
Francesco Dal Mas
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