Guglielmo Botter: «La nostra storia va ricordata. Lo direi ai miei genitori»

Trevigiano, artista e disegnatore, nipote di Mario, oggi vive negli Usa per 6 mesi all’anno. La proposta: un centro studi dedicato ai Botter con gli oggetti della famiglia

La panchina sul Cagnan: Guglielmo Botter si racconta a Domenico Basso
La panchina sul Cagnan: Guglielmo Botter si racconta a Domenico Basso

C’è una panchina affacciata sull’acqua del Cagnan a Treviso e un pomeriggio di luce che scivola tra i mattoni. Guglielmo Botter si siede piano, come chi torna a casa dopo un lungo viaggio.

Figlio di Memi, nipote di Mario e pronipote di Girolamo, i grandi restauratori che salvarono i capolavori di Tomaso da Modena, porta nel sangue la pazienza dell’arte e l’amore per la memoria.

Lasciare una traccia

Oggi è un migrante dell’arte: vive sei mesi l’anno in America, dove è riconosciuto come artista e disegnatore, e sei mesi a Treviso, dove si divide tra il disegno e il suo “pensatoio” di via Inferiore, che ha battezzato “Treviso in punta di penna”.

Qui conserva i suoi lavori e immagina nuovi progetti. Sta terminando la sua autobiografia, «per lasciare traccia», e sogna una Guida di Treviso fatta di disegni e memorie, costruita con la stessa pazienza con cui scrisse “Una americana a Treviso”, il libro dedicato alla madre, Lyù.

«Lo scrivevo al suo capezzale, alla casa dei Gelsi. Ogni giorno la andavo a trovare, la ascoltavo, e per farla parlare le chiedevo: mamma, raccontami di te. All’inizio prendevo appunti su un foglio, poi portai il computer e cominciai a scrivere mentre lei mi dettava le sue memorie. Mi indicava dove cercare: “Nella credenza, nel cassetto in fondo, c’è un album con lettere e foto…” Si è aperto un mondo: fotografie, ricordi della gioventù in America, biglietti dei transatlantici, pagelle della High School. Ho riempito scatole intere di memoria, e quando lei è morta avevo scritto una quarantina di pagine: sono diventate quattrocento. Per tre anni ho letto lettere, centinaia di lettere tra i miei genitori, un dialogo d’amore e di vita che attraversa decenni. Era come rimettere ordine nel passato con le mie mani e con il computer, lì, alla Casa dei Gelsi».

Le radici e il patrimonio

Oggi, su questa panchina anche solo per 15 minuti, Guglielmo vorrebbe accanto a sé i suoi genitori.

 

Memi Botter con la moglie Lyù
Memi Botter con la moglie Lyù

«Sono morti troppo presto, nel 2010, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra, nel pieno di quella crisi economica che ha minato la mia attività di architetto: non hanno visto la svolta della mia vita. Mio padre mi ripeteva sempre: “Impara l’arte, mettila da parte. Disegna, disegna…” E aveva ragione. Mia madre invece mi diceva: “Vai in America, là troverai le tue opportunità.” Così, dopo la loro morte, ho chiuso lo studio, ho preso lo slancio e sono partito. Alla fine ho seguito entrambi i loro consigli: lui mi ha indicato la strada dell’arte, lei quella del mondo». Anche se passa parte dell’anno oltreoceano, Botter sente di non aver mai tradito le proprie radici.

«Ho continuato a curare la memoria della famiglia e della città. Quando abbiamo venduto la casa di papà, nel 2020, ho cercato di salvare tutto ciò che contava, anche quello che poteva apparire superfluo. Il nuovo proprietario mi concesse cento giorni per svuotarla, e io li ho consumati tutti, dalle nove del mattino alle nove di sera. Avevamo centinaia di reperti, mobili d’epoca, preziose lampade, libri, documenti di lavoro di papà e nonno... Un patrimonio che non dovrebbe andar disperso».

Cinque anni dopo

Con l’allora delegato alla cultura, Vittorio Zanini, scomparso nel 2022, era nata l’idea di allestire due sale al Museo Bailo: un piccolo centro studi dedicato ai Botter, riutilizzando i loro mobili, e dove riunire i busti, gli affreschi, i libri, gli attrezzi utilizzati nel salvataggio degli affreschi del Ciclo di Sant’Orsola, e l’archivio dei restauri. Una postazione computer avrebbe permesso la consultazione dei documenti.

«Ci eravamo detti: qui le persone potranno studiare, ritrovare le radici, capire il valore del restauro. Era tutto pensato, misurato, ordinato».

A distanza di cinque anni da quella riflessione, c’è ora bisogno di riprendere in mano il filo del discorso. Alcune cose sono cambiate, a cominciare dagli interlocutori istituzionali, sono cambiati sia l’assessore alla cultura che il direttore dei Musei Civici.

«Bisogna riavvolgere il nastro della storia — dice Botter — e forse ripensare il progetto, qualora l’attuale Amministrazione Comunale avesse deciso di non proseguire con la proposta dei precedenti attori, magari guardando alla possibilità di creare una Casa museo Mario Botter, dove tutto potrebbe confluire e trovare finalmente un senso compiuto».

La promozione

Un senso che forse è lo stesso che spinse Guglielmo Botter, anni fa, a chiedere di esporre a Treviso i suoi disegni.

«Ero tornato dagli Stati Uniti e avevo mostrato i miei lavori a un gallerista. Mi rispose che per fare una mostra bisogna essere conosciuti, altrimenti è difficile che qualcuno ti inviti. Mi fece male: pensai che, in fondo, avevo fatto tanto per la mia città, ma non avevo mai avuto la soddisfazione che speravo».

Loggia dei Grani, un'opera di Guglielmo Botter
Loggia dei Grani, un'opera di Guglielmo Botter

E poi aggiunge: «Dal canto mio, pur avendo realizzato importanti opere artistiche e iconografiche per la città, come il primo e unico francobollo delle Poste Italiane con soggetto Treviso, nel 1980 a soli 13 anni (Piazza Pola), la veduta prospettica del 1997 e i prospetti del Calmaggiore nel 2011, per trovare riconoscimento e apprezzamento per il mio lavoro di artista ho dovuto “emigrare” negli Stati Uniti nel 2012. Negli anni, ho esposto in numerose città della East Coast in Pennsylvania, Virginia, New York, Maryland, Ohio, Indiana e Kentucky. Lì mi hanno proposto mostre, ho clienti che acquistano i miei quadri, musei e gallerie che propongono la mia arte. A Treviso spero di tornare presto per avviare nuovi progetti iconografici in modo da contribuire con i miei disegni a china alla valorizzazione e alla promozione della città, tanto cara alla mia famiglia».

Artisti e poeti

Guglielmo Botter osserva lo scorrere lento del Cagnan e ripensa alla storia della sua famiglia: «Nel 2020 ho curato la mostra “I Botter” allestita al Palazzo dei Trecento per onorare le tre generazioni di restauratori che nell’arco di oltre un secolo hanno salvaguardato e salvato la città dall’incuria e da due guerre mondiali. Ci sono tante famiglie e persone che hanno dato tanto a Treviso e che meriterebbero di essere ricordate. Nei licei, nelle scuole, si dovrebbe raccontare chi erano, come si è formata ed evoluta la città. Anche il Museo Bailo, nel nome, nasce dalla storia di un uomo, Luigi Bailo, che a fine Ottocento salvò la memoria artistica di Treviso. È da lì che bisognerebbe ripartire».

Sorride, poi aggiunge: «Mio padre diceva che se a governare la città fossero artisti e poeti, sarebbe ancora più bella. Forse aveva ragione. Una volta bastava scendere in Calmaggiore per un caffè, una chiacchiera sull’arte, un saluto. Oggi attraversando la città non incontro più nessun collega, tanti, soprattutto i più giovani se ne sono andati. Ma l’acqua del Cagnan scorre ancora, e guardandola riesco ancora a riconoscere un po’ della Treviso che anche i miei genitori amavano».

Un filo sottile

Poi resta in silenzio un momento, come se rivedesse davvero, sua madre, seduta accanto. «Se potessi salutarla dopo questi quindici minuti, le darei un abbraccio. L’ultimo abbraccio», dice piano. «Le direi che le mie figlie stanno seguendo il suo sogno. Rebecca, la maggiore, è attualmente negli Stati Uniti per lavoro e si è innamorata dell’America come lei. Sofia Melissa, la più giovane, studia all’Accademia di Belle Arti, la stessa scuola frequentata da lei e papà negli anni ‘50. Spero così che la famiglia continui nel mondo dell’arte, in un modo o nell’altro». »Un filo sottile lega le generazioni dei Botter, dall’Italia all’America. «Un doppio binario», lo chiama lui, «che attraversa il tempo e le vite, ma non si spezza mai».

***

Il progetto: un viaggio per conoscere Treviso attraverso i suoi protagonisti

Il progetto “Una panchina sul Cagnan”, a cura di Domenico Basso, si propone di raccontare la Treviso di ieri, e di immaginare quella di domani, tramite una chiacchierata con alcuni dei cittadini più celebri, non necessariamente titolari di cariche istituzionali, ma volti riconosciuti e riconoscibili della città. La prima puntata vede protagonista Guglielmo Botter, migrante dell’arte.

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