Funghi freschi prodotti in carcere

I detenuti si scoprono coltivatori grazie a un progetto di Alternativa

“Funghi freschi al fresco”, il nome del progetto strizza l’occhio alla condizione dei suoi destinatari: i carcerati, offrendo loro un’occasione di reiserimento sociale e lavorativo. Dallo scorso marzo è operativa la fungaia allestita al Santa Bona, 96 metri quadrati di serra a umidità e temperatura costanti in cui crescono ottimi pleurati e shiitake, naturalmente “bio”, pronti per essere rivenduti fuori dal penitenziario. A coltivarli con la supervisione di Igor De Polo, responsabile del progetto per la coop Alternativa di Vascon di Carbonera, e dell’educatrice del carcere, Letizia Troianelli, c’è, per ora un solo detenuto. Ma se la produzione prende piede, la fungaia potrebbe dar lavoro - retribuito - anche a qualche altro compagno di cella. Il progetto “Funghi freschi al fresco” nasce nell’ambito di un accordo regionale tra Confagricoltura e il provveditorato penitenziario del Veneto. Obiettivo finale: avviare nuove filiere produttive e formare i detenuti in vista di un reiserimento nella vita normale. A Treviso il progetto è già realtà. Si tratta di un’attività sperimentale, finanziata dal dipartimento Giustizia, partita l’ottobre scorso e concretizzatasi a marzo con l’allestimento del tunnel fungaia, dotato di un sistema di irrigazione goccia a goccia.

«L’idea di carcere come ambiente chiuso e improduttivo», illustra il progetto Troianelli, «va sfatata con azioni concrete di relazione con l’esterno». Ed ecco la fungaia, allestita e attivata grazie alla coop di Vascon. Un tunnel per coltivare funghi, ma soprattutto per coltivare nuove speranze di vita per chi sta scontando una pena in carcere. Il detenuto assegnato a questa nuova attività ha davanti a sè una lunga permanenza al fresco di Santa Bona. L’operatore della coop lo ha seguito nella formazione e ora gli è a fianco nel lavoro quotidiano. «Nella fungaia del Santa Bona si coltivano due varietà di funghi commestibili e particolarmente pregiati», dice De Polo, «Le abbiamo scelte per la bontà per il palato e al tempo stesso per la funzione benefica che svolgono, ad esempio nel controllo del colesterolo». La serra deve essere monitorata costantemente per garantire l’ambienta adatto alla crescita dei funghi. E qui entra in scena il detenuto fungarolo, chiamato a controllare umidità e temperatura del tunnel. Per lui prima uno stage formativo e quindi l’assunzione da parte della coop che gli garantisce una borsa lavoro. I funghi prodotti vengono commercializzati. «Li vendiamo nei punti che fanno parte della nostra rete», spiega De Polo, «E in parte li usiamo nel ristorantino della nostra Colonia Agricola. Da più di 16 anni siamo certificati per la produzione “bio”». E ciò aggiunge valore alla coltivazione del Santa Bona. Il progetto è un’anteprima del patto siglato nei giorni scorsi tra Lorenzo Nicoli, presidente regionale di Confagricoltura Veneto, ed Enrico Briglia, provveditore dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto. «Metteremo in piedi», assicura il primo, «un piano strategico per la gestione agricola e la manutenzione delle aree verdi dei penitenziari e per la formazione. L’ipotesi è di avviare piccole attività a carattere imprenditoriale come l’alpicoltura, la coltivazione di erbe officinali, piccoli frutteti e serre». E continua: «Metteremo a disposizione le nostre conoscenze per attività formative imprenditoriali all’interno delle carceri che porteranno anche al rilascio di attestati legalmente riconosciuti e spendibili dai beneficiati. In più avvieremo dei percorsi collaborativi con le nostre imprese agricole che potranno dare lavoro ai detenuti in semilibertà beneficiando di sgravi previdenziali e contributivi».

Alessia De Marchi

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