Funerali, no ai cori alpini Penne nere dal vescovo

VITTORIO VENETO. La “preghiera dell’alpino”, in chiesa, è meglio non recitarla, tanto meno declamarla. Perfino il canto “Signore delle cime” è più opportuno tacitarlo. Sono le nuove disposizioni per il rispetto liturgico a cui tanti preti si attengono, suscitando però la critica reazione dei “veci” e dei “bocia” dell’Ana. «Mi sono sentito dire dei “no” espliciti, da alcuni parroci, per cui ho deciso di chiedere chiarimenti al nostro amico vescovo, monsignor Corrado Pizziolo», fa sapere il presidente Ana di Vittorio Veneto, Angelo Biz. L’ultimo episodio gli è capitato, nei giorni scorsi, a un funerale in un paese della Vallata. «Al momento della preghiera, alla fine della Santa Messa, il sacerdote si è alzato e se n’è andato. Liberissimo di farlo, ma noi alpini l’abbiamo interpretato come un atto di scortesia».
Quel sacerdote, però, aveva sconsigliato le penne nere di recitare la preghiera dall’altare. Il motivo? Ci sono passaggi non consoni alla testimonianza della pace che sta così a cuore ai cristiani. «Non è del tutto pacifico pregare nostro Signore perché», spiega esemplificando don Giampiero Moret, responsabile dell’ufficio stampa della diocesi di Vittorio Veneto, «renda forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana. Questo pensiero sa tanto di crociata. Non vedo, ad esempio, perché la frase non possa essere sforbiciata dalla preghiera». Più pacifico, invece, è “Signore delle cime”, composto fra l’altro da un pacifista come Bepi De Marzi, direttore de “I Crodaioli”. Ma per taluni preti anche questo canto è improponibile in chiesa.
Biz ha sollevato il problema in sede nazionale, perché prenda posizione l’Ana. «Stiamo parlando del dna religioso e identitario dei nostri alpini, quindi vanno compresi i loro sentimenti, è anche vero però», sottolinea Nino Geronazzo, di Conegliano, vicepresidente nazionale dell’Ana, «che noi in chiesa siamo ospiti del parroco e dell’ordinario, che è il vescovo. Non costa nulla recitare la preghiera o cantare all’esterno della chiesa o in cimitero». Marino Fuson è stato presidente dell’Ana di Valdobbiadene fino a pochi giorni fa. «Ci sono parroci che vorrebbero farci togliere anche il cappello. Purtroppo dobbiamo adeguarci, quando siamo in casa d’altri. Ma ai nostri simboli comunque non rinunceremo». La pensa, allo stesso modo, Raffaele Panno, presidente della sezione Ana di Treviso. «La preghiera dell’alpino è approvata dalla Chiesa, per cui se il nostro vescovo, monsignor Gardin, permette di recitarla al termine delle liturgie, non vedo perché un suo sacerdote possa disobbedirgli».
Panno lo vivrebbe, se accadesse, come un torto alla propria sensibilità religiosa e a quella dei commilitoni. Il vittoriese Biz si domanda, a questo punto, perché fra un territorio e l’altro ci debba essere diversità di trattamento, anche liturgico. «I preti desiderano o no che le chiese tornino a riempirsi di fedeli?», si chiede. E Panno, da Treviso, torna ad insistere: «La preghiera dell’alpino è quanto di più caro l’associazione può conservare. È legittimo che un sacerdote, come accade, ci possa chiedere di rinunciare al silenzio, all’uso della tromba, magari al picchetto schierato militarmente, ma non può obbligarci a non pregare e a non cantare».
Al riguardo Biz ricorda che nel vittoriese è sempre più difficile anche organizzare concerti alpini in chiesa, seppur selezionando severamente i testi delle canzoni. «Se organizzassimo l’adunata del 2018 a Vittorio Veneto, non potremmo usare i luoghi di culto. E questa indisponibilità rischia di farci saltare l’atteso appuntamento».
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