Fresco, verdissimo e brulicante di natura Il Parco dello Storga è la vacanza in casa

il reportageFerie? Dove le fa chi le Maldive le guarda in opuscolo e non ha la casa a Jesolo (propria o di parenti)? Con i chiari di luna che stan tornando, davvero, del doman non v’è certezza. E...

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Ferie? Dove le fa chi le Maldive le guarda in opuscolo e non ha la casa a Jesolo (propria o di parenti)? Con i chiari di luna che stan tornando, davvero, del doman non v’è certezza. E allora si diventa alternativi sfoggiando un bel sorriso. Abbiamo già sottolineato come, tra monti e lagune, si stia moltiplicando la schiera dei passeggiatori (o pedalatori) mordi e fuggi. Ma anche la città vanta i suoi angoli magici, nonostante qualcuno stia facendo l’impossibile per rovinarli. E se ai ragazzi basta la piscina a cavallo tra mezzogiorno e il pomeriggio, la serata a villa Manfrin a guardare un film o sentir musica e mangiare una pizza, ai più grandicelli, quelli che hanno memoria di scampagnate e cui non dà fastidio il ronzare di un’ape o la rana schiacciata sul viottolo, la voglia di pace nel verde, tra alberi di frutta allo stato semiselvatico e il fresco dell’ombra lungo un fiumiciattolo nuovo di risorgiva, può dare grandi gioie.



Insomma, quelli dello Storga. Quelli (tanti) che ci passano qualche ora il sabato o la domenica. Quelli dell’orienteering e quelli delle parkrun spontanee del sabato. Quelli che ci passano tutti i giorni e quelli che lo usano come salutare bypass per andare al lavoro. Quelli che vanno agli Orti Urbani, quelli che ci vanno a piedi e quelli che ci vanno in bici. Quelli che portano il cane ma “la” raccolgono e quelli che “la” raccolgono ma “la” lasciano nel sacchettino tra i rami di un albero. Quelli che conoscono il nome degli alberi e quelli che stanno facendo collezione di avvistamenti di animali, scoiattoli (con emozione da cartoon) compresi; quelli che cercano l’ombra e i 17 gradi naturali alla faccia dei condizionatori e quelli che «qui senza l’autan è impossibile». Quelli che «questo è il paradiso terrestre alle porte della città e lo stanno lasciando andare in malora»; quelli che «Qualcosa hanno fatto ma era meglio se non facevano niente», quelli che «È meglio non renderlo troppo fruibile che poi arrivano i barbari e lasciano quintali di rifiuti». Quelli che «No, questo è un bene pubblico: lo depauperano e dovremo risponderne ai nostri figli». Quelli che «Lo sa che il funzionario del Verde della Provincia, proprietaria, mi ha detto che non ci è mai venuto e che non gli interessa perché lui è friulano e fa già tanta fatica ad arrivare qui ogni giorno?».



Siamo stati ancora una volta al Parco dello Storga, dopo aver visto frotte di trevigiani lì diretti nei fine settimana; siamo andati a vedere com’è la situazione nei giorni feriali. E abbiamo trovato un bel viavai, e anche identificato un pericolo virtuale per quei 67 ettari. Il nostro Bois de Boulogne, il nostro Central Park, quello che dagli esperti è stato classificato come unicum, pur vantando al suo interno due fiumi, la Storga e il Piavon, rischia di finire in cenere in caso d’incendo. Qua e là sono sparpagliate - Il parco è stato realizzato di sana pianta - alcune “prese” d’acqua per gli idranti (ma forse erano lì per l’irrigazione quando questo era un capitale da seguire e coltivare), ma quelle prese sono vecchie, arrugginite e probabilmente inefficienti. Se si tiene conto del fatto che all’interno dei 67 ettari di Parco Storga transita anche un metanodotto, basta fare uno più uno.



E non è questa l’unica incognita che grava sull’area verde realizzata con finanziamenti europei al posto della vecchia colonia ergoterapica dell’Usl, a cavallo tra Treviso, Carbonera e Villorba: da anni la Provincia, titolare del parco, ha affisso cartelli che avvertono della presenza di zecche. Ma di campagna di disinfestazione non si è mai parlato. Con il risultato che le zecche continuano a crescere e i casi di infezione, sui cani come sugli uomini, continuano, rappresentando così un deterrente a entrare nei confini dell’oasi. «Forse è quel che vogliono», dice Bruno Bizzotto, che ci viene tutti i giorni da due anni accompagnato dalla sua bau e tiene in mano un sacchettino “del cane” abbandonato da qualcun altro, «Già adesso è impraticabile buona parte dei sentieri secondari, invasi da erbacce, alberi caduti e rovi. Insomma, pian piano il parco si restringe fino a soffocare se stesso e a diventare inutile. Un progetto di questa portata buttato via. Ho partecipato anche agli sfalci e ai tagli organizzati da Italia Nostra, ma sono azioni dimostrative che la Provincia ha deciso di ignorare senza rispondere in alcun modo. A Ovest ci sono zone di rara vegetazione; ci sono tre cipressi calvi americani che nessuno ha mai curato che stanno morendo soffocati vicino all’ingresso nel parco del Sant’Artemio, ovvero della Provincia proprietaria che dovrebbe vigilare».



«Io percorro ogni giorno la strada principale, quella che porta dalle Case Piavone all’ingresso della Madonnetta», spiega invece una ragazza col cagnolino, «Estate e inverno, andata e ritorno: è un modo salutare per “tagliare” andando al lavoro: incontro scoiattoli, bisce, ricci, nutrie, anatre. Un prodigio per chi ama la natura. Adesso è quasi l’unica strada rimasta, qui non sono stati tagliati i ponticelli e non ci si perde tra i rovi». La via principale, che porta le auto degli assegnatari degli orti urbani, è l’unica ripavimentata a ghiaino.



È nota, tra “quelli che lo Storga”, come la “strada dei àmoi” perché ai lati sono piantati decine di alberi di susine di ogni tipo, cui si può accedere facilmente stando in punta di piedi e tirando giù i rami più bassi.

Alle Case Piavone (sede museo etnografico) sono fermi Francesco e Carlo (di più non è dato sapere: dire i cognomi contestando chi comanda, di questi tempi, può essere pericoloso, evidentemente) con i loro bastoncini da nordic walking: prendono acqua alla fontana, l’unica del Parco, ricercatissima. E anch’essi sottolineano lo stato di abbandono: «È stata fatta una pulizia dai rovi, ma a quel punto si è fermato tutto. Così i sentieri cominciamo a essere coperti da vegetazione e rovi e la… foresta si mangia il parco».



Ci sono ancora tronchi caduti e ponti di legno spariti, perché erano “guasti”, e mai tornati in nuove versioni “sane”. Vecchi alberi rinsecchiti o spezzati dal vento, di questi tempi magri, potrebbero venir buoni come legna per le stufe di chi non ha altro. «Ma la Provincia ha messo fuori cartelli che vietavano di portare via la legna tagliata durante l’unica pulizia degli ultimi vent’anni», dice Silvano, uno dei “clienti” mattutini del parco, « Naturalmente sono spariti anche i cartelli, ma tutto questo è assurdo. C’è gente che fa fatica a scaldarsi d’inverno: cosa costa inventarsi un giorno di raccolta “free”? Sarebbe anche un bel messaggio nei confronti di chi non se la sfanga bene». Forse non serve: la prima cosa che vediamo uscendo dalla Madonnetta, su un terreno privato, è una grande catasta di legna ben tagliata e allineata. Chi controlla chi? Le guardie provinciali, dicono “quelli che”, esistono ma non si vedono quasi mai. Ma la Marca è grande. —





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