Mariska, ultima partigiana del Cansiglio, incontra il figlio di uno dei fratelli Cervi
L’uomo ha presentato il suo libro “I miei sette padri” ed ha abbracciato la combattente di Fregona: «Alle donne della Resistenza non fu dato il giusto riconoscimento»
Quando la storia incontra la storia. Giovedì 9 gennaio a Fregona, Mariska, l’ultima partigiana del Cansiglio, ha conosciuto Adelmo, figlio di Aldo, uno dei sette fratelli Cervi. Storie di vita e di Resistenza al regime fascista che sono corse parallele fino a giovedì.
Leda Azzalini, nome di battaglia Mariska, nata a Fregona nel 1926 e Adelmo Cervi, nato nel 1943 a Gattatico, Reggio Emilia, non si erano mai incontrati: ma a vederli insieme ieri, sembrava si fossero sempre conosciuti.
Adelmo Cervi era in visita a Vittorio Veneto, per la presentazione del suo ultimo libro “I miei sette padri”. Evento promosso dall’Anpi vittoriese in area Fenderl, che ha avuto ieri sera una buona partecipazione di pubblico. Con l’occasione ha voluto incontrare Mariska, testimone diretta della lotta partigiana in Cansiglio.
Leda, cimbra di Fregona, entrata a 18 anni nel gruppo Brigate Vittorio Veneto poi confluito nella Divisione Nino Nannetti nel 1944, ha combattuto in Cansiglio fino alla Liberazione. Adelmo invece, nel 1944, aveva appena un anno ed era già orfano. Il padre Aldo, insieme ai suoi sei fratelli, erano stati assassinati il 28 dicembre 1943: la triste e valorosa storia dei fratelli Cervi, contadini e antifascisti. «È una grande emozione conoscerti – ha detto Leda ad Adelmo – sapevo della drammatica storia dei sette fratelli di Reggio Emilia, ci era arrivata notizia ma dopo la guerra».
«Allora – spiega Adelmo – le notizie non uscivano, neanche in paese tutti sapevano. Per qualcuno poi, anche tra gli esponenti di partito, la nostra era la storia si sette sbandati. Poi – racconta Adelmo – negli anni ’50 venne a casa Cervi Italo Calvino, scrisse un lungo articolo e da allora fummo conosciuti da tutti». Dopo la tragedia, in casa Cervi rimasero quattro donne con undici bambini e un vecchio, nonno Alcide.
«Le donne – commenta Adelmo – ebbero un ruolo cruciale nella lotta partigiana. Leda ne è un esempio. Ma anche durante la Resistenza non fu dato loro il giusto riconoscimento. Le chiamavano spesso staffette anche se erano partigiane. Altrimenti loro, gli uomini, non potevano più chiamarsi partigiani, ma supereroi! – incalza Adelmo – Nella mia famiglia, mia nonna è mancata nemmeno un anno dopo l’uccisione dei suoi figli. Non ha retto tanto dolore. Mia madre, le mie zie, si fecero carico di raccogliere le nostre vite in frantumi e darci nuove speranze».
Leda racconta: «Diventai partigiana perché c’era bisogno dell’aiuto di tutti per liberarci dai nazifascisti. Bisognava agire, muovere le coscienze. Ero donna, giovane, ma combattevo anch’io. Anche il vescovo sapeva che c’era questa giovane ragazza che combatteva in Cansiglio e pregava per me. Era con noi».
Un incontro appassionato quello tra Leda e Adelmo, in cui si sono scambiati informazioni sul loro lungo vissuto. Si lasciano con ancora molte cose da dirsi e dopo un lungo abbraccio Adelmo le raccomanda: «Tieni duro perché abbiamo ancora bisogno di te e della tua testimonianza. Ti voglio bene».
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