Francesco, primo cuore trapiantato d'Italia

Venticinque anni fa a casa Busnello una scelta senza precedenti. «Oggi lo rifaremmo»
I genitori Marina e Gianni Busnello. A destra, Francesco Busnello primo donatore di cuore
I genitori Marina e Gianni Busnello. A destra, Francesco Busnello primo donatore di cuore
 
Sorride nel tinello di casa Busnello la piccola Francesca, due anni e mezzo, riempiendo le giornate dei nonni Gianni e Marina. La mamma Eleonora aveva dieci anni quando perse il fratello, Francesco Busnello, il primo italiano cui fu espiantato il cuore, il 14 novembre 1985 dopo un incidente stradale. Il nome della bimba era già stato scritto da tempo. Non poteva che chiamarsi così.
 Quella mattina Gianni Busnello se la ricorda bene. A casa aveva lasciato il titolo del giornale sull'ok del ministro Degan alla donazione degli organi. In ospedale fu lui stesso a chiedere se fosse intenzione dei medici espiantare anche il cuore. «Non ci è ancora arrivata alcuna comunicazione» risposero impreparati i medici. La determinazione del cardiochirurgo Carlo Valfrè a Treviso e del professor Vincenzo Gallucci a Padova fecero il resto. A Treviso il primo espianto di cuore d'Italia, a Padova il primo trapiantato.  «Mia moglie ha sempre detto che lo rifarebbe - spiega Busnello - Io sono stato lacerato dai dubbi: nessuno ci aveva preparato e l'ambiente ci ha insinuato il dubbio di una decisione presa con troppa fretta. Ma in ospedale i medici ci hanno sempre spiegato molto chiaramente la situazione di Francesco». Il diciassettenne di Santa Bona, vittima di un incidente stradale, dopo cinque giorni di coma era clinicamente morto. E ai genitori fu chiesto di scegliere per la donazione degli organi o meno: Gianni e Marina risposero che sì, l'ultimo dono di un ragazzo impegnato negli scout, leader della squadra di pallamano, capo degli studenti superiori cittadini non poteva che essere quella. Espiantarono i tessuti e le cornee. Ma solo il cuore di Francesco è passato alla storia: per essere stato espiantato e poi trapiantato nel falegname di Vigonovo Ilario Lazzari. Diciotto anni dopo Barnard.  «A distanza di molti anni - aggiunge Busnello - penso che non è bene che i genitori del donatore conoscano il ricevente. Ne parlo con ragion veduta, per aver conosciuto e frequentato Ilario Lazzari. Noi tutti ci eravamo creati delle aspettative nei suoi confronti, pensando che una parte di nostro figlio continuasse a vivere in lui. Ma riconosco che è stata un'aspettativa ingiusta, che ha creato in noi solo disagio. E ho notato come lui nutrisse nei nostri confronti una specie di sudditanza, un sentimento di speciale riconoscenza come non dovrebbe essere. Anche questo sentimento è ingiusto. La legge dovrebbe tenere riservata la destinazione degli organi espiantati». E conclude: «Quando Ilario Lazzari morì, nel 1992, fu come perdere Francesco una seconda volta».

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