Firma falsa: svuota il conto del marito Condannate le Poste

MOGLIANO. Saranno le Poste Italiane a risarcirlo di oltre 60.000 euro per gli assegni di invalidità legati all'epatite contratta durante una trasfusione in ospedale e intascati dalla moglie mentre lui si trovava in carcere. Dopo la condanna, penale, della donna, mercoledì la sentenza in sede civile, che ha imposto alla società il versamento del denaro al moglianese. La vicenda risale al 2002 quando M.V. finisce in carcere per scontare una vecchia pena di circa un anno diventata definitiva. L'uomo entra in cella piuttosto sereno: sa, infatti, che quando uscirà, l'attende una nuova vita, grazie a un dignitoso gruzzolo di soldi che gli sono stati corrisposti a titolo di indennizzo. Il moglianese, infatti, alla fine degli Anni Ottanta era rimasto vittima di un incidente stradale a seguito del quale era stato sottoposto a una trasfusione di sangue, contraendo l'epatite. Per questo fece una richiesta di indennizzo prevista da una legge speciale del 1992, la numero 210, “dedicata” a coloro che hanno appunto contratto la malattia a seguito di emotrasfusioni. M.V. venne risarcito con una serie di assegni circolari che, prima di entrare in cella, aveva affidato in custodia alla moglie. La donna, secondo quando è stato discusso nelle aule del tribunale di Treviso, si sarebbe impossessata degli assegni e della pensione di invalidità del coniuge. Come hanno sostenuto gli avvocati dell'uomo, Stefano Tigana e Piero Coluccio, la moglie di M. V. si era recata alle Poste di Mogliano, aprendo un conto corrente cointestato. Per farlo avrebbe però falsificato la firma del marito in carcere. Una manovra, questa, che l'ha poi fatta finire a processo per appropriazione indebita e per falso, ricevendo una condanna (solo per quest'ultimo reato) a 8 mesi. In pochi mesi, tra febbraio e settembre, la donna avrebbe speso ben 50.000 euro. Dopo la condanna della moglie, M. V. ha però chiamato in causa anche le Poste di Mogliano sostenendo che non c'è stato un adeguato controllo dei moduli presentati dalla moglie (in cui la firma di lui è risultata falsificata) per l'apertura del conto corrente. È stata così avviata, nel 2007, una causa civile nei confronti della società. Mercoledì la sentenza della dottoressa Cicero, secondo la quale Poste Italiane non avrebbe dovuto aprire il conto corrente e permettere alla moglie di M. V. di girare un assegno non trasferibile. Il prelievo di denaro è stato possibile a causa dell'imperizia delle Poste, avevano sostenuto gli avvocati Tigana e Coluccio, che proprio sulla base di questo hanno portato in giudizio la società. Poste Italiane dovrà risarcire il moglianese con 60.900 euro circa di assegni a cui si devono sommare gli interessi e le spese legali. La condanna, di primo grado, è provvisoriamente esecutiva. Quindi, anche se la società dovesse fare appello, dovrà intanto provvedere a pagare, questa volta proprio a M. V. e a nessun altro, la somma stabilita dal giudice. «Il nostro assistito ha subito un gravissimo danno proprio nel momento in cui sperava di poter ricominciare dopo aver contratto una gravissima malattia», afferma Tigana, «oggi finalmente ha ottenuto giustizia. Eravamo convinti della sussistenza di una responsabilità di natura civile in capo a Poste Italiane ed avevamo ragione».
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