Dodici cartigli per la mappa dei luoghi di Giuseppe Berto

Pellegrinaggio culturale nei siti moglianesi dello scrittore, con la figlia Antonia e l’affissione delle “targhe” che segnalano un percorso della memoria
zago agenzia fotofilm mogliano i luoghi di giuseppe berto in foto astori
zago agenzia fotofilm mogliano i luoghi di giuseppe berto in foto astori

MOGLIANO

«Il mio paese è una strada»: la definizione che nel 1977 lo scrittore Giuseppe Berto fa della sua città natale è spigolosa, severa, tutt’altro che indulgente. La Mogliano che lo vide in gioventù aderire al partito fascista, partire volontario per l’Abissinia, nel’35, e per la Libia, nel’42, era, come lo è per molti giovani ancora oggi, un luogo da cui fuggire. Eppure nella successiva produzione letteraria non mancano i cenni alle sue radici nella provincia trevigiana, figlio di un carabiniere in pensione reinventatosi venditore di cappelli in piazza duca d’Aosta. Le citazioni “topografiche” dai suoi capolavori, il Male Oscuro, il Cielo è Rosso, la Cosa Buffa, L’Inconsapevole Approccio, sono state raccolte selezionate e diventano oggi “I luoghi di Berto”. Con partenza alle 11 dal municipio di Piazza Caduti, ieri mattina la giunta, i rappresentanti dell’associazione Berto, dell’Unitre e gli studenti del Liceo Berto, con la presenza della figlia dello scrittore, Antonia, sono stati protagonisti di una passeggiata letteraria per la città. Sono stati svelati dieci nuovi cartigli in acciaio, incisi delle parole di Berto e installati nei rispettivi luoghi di riferimento. È il primo atto di una settimana di celebrazioni in vista del quarantennale dalla morte dello scrittore (1 novembre 1978). Il fatto che le parole di Berto vengano valorizzate diventando parte integrante del contesto urbano, rappresenta un passo fondamentale di un’ideale quanto necessaria riappacificazione tra la cittadina trevigiana e la memoria di uno dei suoi più illustri figli. Sia il compianto editore Cesare De Michelis, sia il critico letterario Antonio D’Orrico lo hanno definito «il più grande romanziere italiano del secondo’900». Berto, malgrado la recente “riscoperta”, per anni è stato un corpo estraneo sia per l’intellighenzia letteraria dominante in Italia, sia per sua città. A lui, finora, è spettata solo l’intitolazione di una scuola che è un cubo di cemento, di una piazza tra i condomini, e di un premio letterario che ha vissuto negli anni fasi alterne. Da ieri, anche solo passeggiare sotto i portici, avvicinarsi da ovest alla stazione, può essere per tutti l’occasione di incontrare le parole di Giuseppe Berto. I cartigli sono stati posizionati in municipio, al cimitero, lungo il Terraglio, su colonne del fu Bar Venezia e dell’adiacente negozio di cappelli del padre, in Piazza Duca d’Aosta (ex fermata del tram), in via XXVIII aprile, dove c’erano la casa natale e anche la fabbrica del pepe, al Collegio Astori, dove Berto studiò, a Marocco nell’Hotel dei Dogi, ora Villa Marcello Giustinian, e in Villa Benetton, fucina dell’artista del ferro che fu amico di Berto e luogo che ha ospitato numerose edizioni delle finali del Premio omonimo. Un dodicesimo cartiglio sarà donato alla città di Ricadi, definita da Berto “città bella dove vivere e dove morire”, dove effettivamente visse gli ultimi anni della sua vita e dov’è sepolto. Dove oggi c’è una banca, una volta c’era il “Bar Venezia”, il cui blasone si riverbera tutt’oggi nei ricordi di molti vecchi moglianesi. Berto lo descrive così, con occhi di bambino: «la più bella bottega del paese e forse del mondo intero, tutta stucchi bianchi e oro, e lì vendevano paste, cioccolato e caramelle, cose che costavano soldi e facevano male alla pancia». –

Matteo Marcon

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso