Diadora riattiva le macchine e torna alle scarpe fatte a mano

Riportato in Italia il 10% dela produzione. «Una scommessa e uno stimolo al distretto della calzatura di Montebelluna»
Un'impiegata nella linea produttiva
Un'impiegata nella linea produttiva

CAERANO. Una scarpa quasi sartoriale, con la tomaia tagliata a mano, la cardatura, l’incollaggio e il finissaggio realizzato da mani sapienti. Una scarpa sportiva, come si faceva una volta. Con i tempi della sartoria: se in Cina il tempo di produzione, su scala industriale, è di meno di cinque minuti, qui per costruire una scarpa servono venticinque minuti, anche mezzora. Una «fabbrica lenta» che potrebbe indicare una via oltre la crisi e far ripartire una rete di piccoli laboratori travolti dalla globalizzazione.

La Diadora – 140 addetti, ricavi per 247 milioni, in crescita del 15%, acquisita cinque anni fa dalla famiglia Moretti Polegato, proprietari di Geox – ha deciso di riportare in Italia una piccola fetta di produzione: l’alto di gamma delle sue principali linee, che stanno facendo tornare il marchio di Caerano al posto che merita nell’industria dello sport.

Le linee active, sportswear e heritage avranno una linea interamente «made in Italy», con fascetta cucita sulla lingua. Ed interamente prodotta nella fabbrica di Caerano. Una piccola produzione, per adesso, perchè la vecchia manovia riattivata dopo quindici anni di abbandono può arrivare a produrre fino a 80, cento paia al giorno, praticamente 25 mila paia l’anno. Un’inezia, nel complesso della produzione. Ma che potrebbe diventare un nuovo e originale approccio al ritorno del made in Italy in uno dei segmenti della calzatura che per primi aveva deciso di delocalizzare nell’Asia. Attualmente, le basi produttive della scarpa sportiva si trovano in Cina, Thailandia e Vietnam. Ma il «cru» delle linee di successo deve essere perfetto, senza una sbavatura: ecco perché Diadora ha deciso di ripristinare la manovia «addormentata» nello stabilimento di Caerano. E di assumere per ora sei persone, che presto diventeranno nove e potranno aumentare ancora.

«La nostra è una scommessa – spiega Enrico Moretti Polegato, presidente di Diadora – ma che ci sta facendo intuire alcune direzioni interessanti. La personalizzazione di piccole linee, per i migliori negozi. La possibilità, poi, per il distretto, di rimettere in piedi alcuni laboratori che potrebbero darci una mano per aumentare la produzione. Una scelta che ci permette di sfruttare al massimo il know-how di cui gode il nostro distretto nel design e sviluppo di calzature sportive e di poter offrire così anche al consumatore più esigente dei prodotti di altissima qualità Insomma, siamo all’inizio di un percorso cui crediamo molto».

Diadora riattiva la produzione a mano

Alla Diadora hanno «rianimato» i macchinari originali, alcuni dei quali risalgono anni Sessanta: garbosperone, montafianchi, cardatura, forni a freddo, macchinari che i vecchi calzolai conoscono bene ma che dicono poco o niente alle nuove generazioni.

L’iniziativa fa il paio con la produzione delle “collabo”, sneaker in edizione limitata, realizzate in collaborazione con i più importanti sneaker store al mondo. E porta in gremo anche il progetto, unico in Italia, di quantificazione e tracciabilità dell’impronta di carbonio: un progetto pioniere nel campo della calzatura che prevede la tracciabilità completa di materiali e manodopera della scarpa sportiva, con l’obiettivo di realizzare una scarpa «a chilometro zero».

L’obiettivo, per Polegato, è quello di arrivare entro l’anno a centomila paia e nel triennio a coprire il 7-10% della produzione: una scommessa che dipenderà da un lato dalla risposta del mercato e dall’altra dall’accoglienza nel distretto di Montebelluna di questa iniziativa. Darà coraggio a qualche giovane calzolaio dalle vecchie manovie abbandonate?

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso