Dal fallimento al rilancio: Domino salva la Fabbian di Riese

RESANA. La Domino Led Srl, azienda di San Pietro in Gu (Padova), salva la Fabbian Srl di Castelminio di Resana. Cinquantasei anni di storia, e 27 dipendenti, intravedono finalmente l’uscita dalla crisi che ha portato, nei mesi scorsi, al fallimento della Fabbian Illuminazione Spa, che era riuscita a portare avanti la produzione affittando il ramo d’azienda alla Srl guidata dal gruppo ceco Gmt International. Ora l’interessamento concreto di Luca Pellegrino, titolare della Domino Led, ha permesso di dare un futuro all’azienda, salvare i posti di lavoro esistenti e anzi, richiamare in società un paio di addetti che nei momenti più duri della crisi erano migrati verso altri lidi.
Tecnicamente, Pellegrino sta acquistando le quote della Gmt International: non ha ancora la maggioranza ma è previsto, nel piano di salvataggio, che la società ceca esca progressivamente di scena e la totalità delle partecipazioni sia detenuta dal titolare della Domino Led. A favorire l’ingresso di Pellegrino è stata anche la prossimità settoriale: Domino è specializzata nei sistemi di illuminazione a tecnologia led.
«È la storia della buona imprenditoria italiana che salva e rilancia un’altra azienda italiana» spiega la società di Resana, che lunedì in una conferenza stampa spiegherà nel dettaglio i piani di Pellegrino, «nelle nuove strategie aziendali ci sono l’innovazione dei prodotti puntando sulla tecnologia led, il riposizionamento del brand Fabbian per riportarlo al prestigio che aveva, la valorizzazione del capitale umano con il richiamo in azienda di personale ritenuto importante e che era già uscito. Pellegrino è convinto del grande valore di Fabbian e animato dalla prospettiva di innovarla integrandone la tecnologia della sua azienda».
Il fallimento della Fabbian Illuminazione Spa era stato decretato a gennaio di quest’anno. L’azienda aveva sofferto, come molte altre realtà della Marca, il crac delle banche venete: era correntista e azionista (ne deteneva circa 20 mila azioni) della Popolare di Vicenza, un tesoretto che complici le drammatiche vicissitudini dell’istituto di credito si era deprezzato da 948 mila a 124 mila euro. All’acuirsi della crisi aveva contribuito anche il contesto sfavorevole, con la sofferenza del comparto edile e delle nuove costruzioni. Il fatturato annuo era già stato pesantemente ritoccato al ribasso, e si era quasi dimezzato rispetto ai 16 milioni di euro degli anni più fiorenti.
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