Cuore distrutto da un batterio: i chirurghi di Treviso glielo “riparano”

TREVISO. «Grazie dottore, è solo merito suo e di tutto il suo team se oggi sono ancora qua». Parole impronunciabili solo un mese fa quando la giovane, una 28enne, è arrivata al pronto soccorso dell’ospedale di Treviso in condizioni disperate.
«La signora aveva una endocardite batterica devastante in corso, la paziente era in shock settico e cardiogeno, con una grave insufficienza renale» spiega Giuseppe Minniti, primario della Cardiochirurgia del Ca’ Foncello.
Il dirigente insieme alla sua équipe ha portato a temine un delicato intervento di riparazione “naturale” del cuore, adoperando il pericardio della paziente come fosse una guarnizione per ricostruire la valvola mitrale che era stata interamente distrutta da un batterio.
«Siamo uno dei pochi centri che adopera questa particolare metodica, senza ricorso a protesi artificiali, fatta eccezione per i punti di sutura che sono in gore-tex» evidenzia il dottor Minniti. La tecnica innovativa richiama utenti da tutta Italia perché l’utilizzo di materiale biologico dello stesso paziente aumenta la resistenza alle eventuali infezioni e riduce il rischio di rigetto. E non è un caso che il Ca’ Foncello sia citato nelle linee guida per la gestione delle endocarditi infettive redatte dalla Società europea di cardiologia.
L’INTERVENTO. Il batterio responsabile della terribile infezione che ha ridotto la 28enne in fin di vita era uno stafilococco entrato nell’organismo della donna attraverso una ferita sulla cute, trasportato dal sangue, il patogeno è arrivato a intaccare il cuore. «Lo stafilococco aveva aggredito e completamente distrutto la valvola mitrale che rappresenta l’ingresso al ventricolo sinistro, dove confluisce il sangue ossigenato proveniente dai polmoni» evidenzia l’esperto.
Dal pronto soccorso la giovane è stata inviata in codice rosso in Cardiochirurgia, mentre gli esperti di Malattie Infettive e Microbiologia analizzavano il sangue della ragazza riscontrando l’infezione. La corsa contro il tempo in sala operatoria dove un team di cardiochirurghi, cardioanestesisti, rianimatori, infermieri e operatori socio sanitari ha partecipato all’intervento. Il momento più delicato: il prelievo della sezione di pericardio che funge da membrana del cuore. «Lo abbiamo sagomato come un anello, morbido e naturale che si adegua al movimento del muscolo. Caratteristiche che una protesi non riesce a garantire» prosegue Minniti. Adoperare materiale autologo, cioè prelevato dal paziente, ha anche il pregio di ridurre il rischio di infezioni.
LA METODICA. «Nel 2018 abbiamo eseguito 840 procedure (+30% rispetto all’anno precedente), di queste un centinaio di riparazioni della valvola mitrale con un aumento del 20% rispetto al passato, e nel 99% dei casi siamo riusciti a farlo con materiale biologico prelevato dallo stesso paziente» sottolinea il primario. Una tecnica “a prova di batterio” e la conferma è arrivata qualche settimana dopo, quando la 28enne ha contratto la polmonite.
«Il fatto di avere una protesi naturale anziché artificiale ha evitato il rigetto» spiega a questo proposito il dottor Minniti. Ora che la paziente ha superato la malattia ad attenderla c’è l’ennesima sfida: la riabilitazione che verrà fatta all’ospedale Motta di Livenza. Tanto impegno e tanta determinazione per tornare a fare le piccole cose di tutti i giorni ora che la fase critica è stata superata.
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